2003: Campo Mobile R/S

IL NOSTRO CAMPO A SORPRESA lungo l’ex ferrovia Spoleto – Norcia

di Riccardo Buson (Tonno)

Introduzione

Diario di bordo o Libro d’oro o come volete chiamarlo voi, questo è comunque il racconto del campo estivo del clan Oben. Noi, ovvero il clan Oben, siamo un gruppo di scout del Monselice 1° e siamo partiti lunedì 10 agosto 2003 per quello che era stato pensato come campo mobile, ma che già aveva l’aria d’essere più un campo a sorpresa, dato che non avevamo cartine del posto e il tutto era stato preparato… diciamo non nei minimi dettagli. La definizione “campo a sorpresa”, termine da noi coniato, si è poi rivelata molto adeguata, poi capirete perché. In questa introduzione vorrei precisare che tutto il campo è stato affrontato con sorrisi e allegria dal nostro gruppo ed è stato sempre pieno di risate e felicità, anche se questo non è stato sempre sottolineato nel racconto; perciò vi invito a immaginarvi tutto quello che è raccontato aggiungendo una battuta ogni dieci secondi e il costante sorriso nei volti dei protagonisti.

Nel raccontarvi questa storia userò dei soprannomi per ognuno dei nove protagonisti e, affinché sappiate chi sono, ve li elenco adesso: Cesco sta per Francesco: uno dei tre capi clan, insieme alla Giò e alla Lori, rispettivamente Giovanna e Loredana; poi ci siamo noi rover: Fede ovvero Federico; Jack vale a dire Giacomo, M che sta per Manuel; Nicola e Riccardo, che poi sarei io, ovvero Tonno o più alla tedesca Tön; infine l’unica scolta: la Fra’ che sarebbe Francesca. Ora che sapete i nostri nomi potete leggere e capire con facilità. Buona lettura.

 

1° giorno    Lunedì        11/08/03

Il ritrovo per la partenza era stato fissato alle 7.50 di lunedì mattina alla stazione dei treni di Monselice. Subito la prima sorpresa: siamo nove invece di dieci. Manca Luca che ha avvisato all’ultimo momento la Giò e Jack che non sarebbe venuto a causa del troppo caldo. A chi non conosce Luca questa può sembrare una scusa assurda per coprirne un’altra che non si può dire, ma conoscendo Luca, vi posso assicurare che questo è il vero motivo, anche se è un po’ assurdo. In ogni caso, anche se dispiaciuti dall’assenza di Luca, ci prepariamo a partire. Il treno, un interregionale che ci avrebbe dovuto portare a Bologna, sarebbe arrivato alle 8.02 e, quindi, ci erano rimasti 5 minuti per salutare e aspettare. Nessun problema, dopo aver salutato tutti, prendiamo il treno che regolarmente arriva due minuti dopo le otto. Il viaggio è tranquillo: troviamo dei posti a sedere e non ci sono problemi; così il tempo trascorre tra battute e chiacchierate. Arriviamo a Bologna in orario e riusciamo senza problemi a prendere l’intercity che ci avrebbe portato fino ad Arezzo. In questo caso però non è andato tutto bene perché, a parte il fatto che il treno a Firenze è stato fermo un’ora per problemi, causandoci la perdita della coincidenza ad Arezzo, siamo dovuti stare per tutto il tempo clamorosamente in piedi nel corridoio tra le due file di sedili. Si soffocava ed eravamo stretti e continuamente obbligati a spostarci per far passare altra gente. Il caldo era asfissiante, anche perché quei treni hanno solo dei piccoli finestrini che non fanno entrare neanche un filo d’aria, però il sorriso non ci mancava e si scherzava lo stesso. In ogni caso, soffrendo, resistiamo al caldo e, dopo un lungo viaggio, il treno arriva ad Arezzo, dove smontiamo e, finalmente, respiriamo. Capiamo subito di aver perso la coincidenza, così guardiamo quando è il prossimo treno e vediamo che è dopo pranzo e che abbiamo del tempo da aspettare. Decidiamo, quindi, di uscire dalla stazione e di trovare un posto ombreggiato dove poter mangiare i panini che c’eravamo portati da casa. Troviamo un bel posticino subito fuori della stazione con una panchina e coperta dall’ombra di un grosso albero e lì ci appostiamo. Pranziamo in tutta calma e senza nessun problema. Quando è giunta l’ora ci alziamo e andiamo in stazione ad aspettare il treno per Spello. Il treno arriva in orario e noi saliamo. Era praticamente vuoto e nella carrozza dove ci eravamo messi noi c’erano solo due persone che sono smontate alle prime fermate. Così proseguiamo il viaggio tranquillamente, fino a quando non arriva un controllore. Ciò non ci crea problemi: noi i biglietti ce li avevamo; ma il controllore non ce li ha neanche controllati i biglietti, ha solo fatto alzare la Fra’ e Jack dai loro posti per sedersi lui, nonostante tutta la carrozza fosse vuota. “Che stronzo!” ho subito pensato io e, penso, anche qualcun altro; “che motivo c’era di farli spostare e poi lo pagano per controllare i biglietti di tutti i passeggeri e non per stare seduto tutto il viaggio. Che stronzo!” pensavo tra me e me. Il viaggio continua senza altri problemi e, dopo un po’, siamo a Spello. Appena smontati in stazione vediamo una fontanella e ne approfittiamo per bagnarci le testa e per ristorarci, nella speranza di sfuggire al caldo. Mentre ci stavamo bagnando la testa, mi viene in mente del metodo che usavo a lavorare per sfuggire dal caldo e per tenere fresca la testa e, così, prendo il mio berretto da pescatore e, dopo averlo bagnato, me lo metto in testa. Subito M mi dice che era un ottima idea e poco dopo tutti quelli in possesso di un berretto ce l’avevano sulla testa tutto bagnato. Ci stavamo ancora lavando quando sento dire dalla Fra’: ”Ah! Ma si chiama Spello, non Aspello” e questo scatena in tutti risate e provocherà alla Fra’ battute su di lei per un bel po’. Usciamo dalla stazione e ci dirigiamo verso il centro del paese che è poco distante. Arriviamo in centro e ci fermiamo in un parcheggio con un piccolo piazzale davanti alla pro loco locale, la Pro Spello, e ci sediamo su una muretta. Erano le 15.00 e la Pro Spello apriva alle 16.00. Avevamo un’ora da aspettare e così, dopo aver fatto la preghiera del mattino che non era ancora stata fatta, ci siamo riposati. Poi, mentre la Giò, la Lori e Cesco andavano alla pro loco e gli altri si riposavano, io e la Fra’ siamo andati a fare la spesa e a fotografare una strana cappella quattrocentesca che avevamo visto salendo. La cappella, essendo stata dipinta da un pittore di nome Tega, era chiamata Cappella Tega, il che, essendo “Tega” il soprannome un po’ volgare di Cesco, a suscitato una marea di risate. La foto, infatti, non è stata fatta alla cappella, ma al cartello che la indicava e dove era scritto il nome, con la precisa intenzione di creare un fotomontaggio appena sarà sviluppata. Tornati, anche io e la Fra’ aspettiamo che i capi escano dalla pro loco e, soprattutto, che escano con una cartina, intanto Nicola e Federico preparano acqua&limone che ci disseterà più avanti. Purtroppo le nostre speranze sulla cartina sono vane perché sembra che non esista nessuna cartina dove sia segnato il sentiero e ciò ci suona strano, visto come ci veniva presentato il sentiero dalle nostre fonti in internet. Ecco perché cominciamo a chiamarlo “campo a sorpresa”, ma vedremo più avanti come il nome si rivelerà quantomai appropriato. Dopo che M e la Giò tornano da non so dove e raccontano di aver incontrato un artista di Padova un po’ pazzo che una volta aveva fatto un quadro con tutte lattine schiacciate e poi ci si era disteso sopra nudo, partiamo verso Foligno che è situato a sei km da Spello. Sfortuna delle sfortune, non esiste nessun sentiero che colleghi i due paesi e, così, siamo obbligati a camminare per un’ora e mezza lungo il ciglio della strada; il che può non sembrare per nulla una cosa negativa dato che il traffico era poco e che per camminare è meglio l’asfalto dei sassi, ma se si pensa al caldo che c’era e al fatto che l’asfalto era ancor più caldo ed emanava molto calore, allora si può capire perché noi non eravamo entusiasti della scelta forzata che avevamo fatto. Il cammino procede tranquillo e il gruppo ha un buon passo, anche se c’è chi va più veloce e chi più lento, ma ci si aspetta e ci si fa compagnia. Fino all’arrivo a Foligno l’unico momento preoccupante e quando una macchina, passando, alza involontariamente un sasso che arriva addosso a Nicola, proprio vicino all’occhio, e ciò lo preoccupa un po’, anche se non si è fatto niente. È proprio durante quest’ora e mezza di cammino che tutti, ma proprio tutti, cominciano a darmi del tön, sotto la spinta di Nicola e Fede che già da tempo usano questo nomignolo per prendermi in giro. Il tutto in maniera molto allegra, e sempre con allegria comincia a venir cantata una canzoncina che io e M conosciamo molto bene e che fa così: “Sampei, Sampei, tiri coca come 36….. Sampei, sampei, fumi bamba con i marinai…”. Provate ad immaginarvi il clima d’allegria che ci distoglieva il pensiero dalla fatica e soprattutto dall’insopportabile caldo. Arrivati a Foligno, ci fermiamo all’entrata di un multisala chiuso e ci dividiamo. Mentre io la Lori e la Fra’ guardiamo gli zaini, gli altri vanno a cercare cartine ed informazioni. Dopo un po’ arrivano tutti e la Giò porta con se la cartina 665 che però non prende la parte che riguarda la vecchia ferrovia, ma, visto che eravamo ancora indecisi se fare quel percorso, lei ha ritenuto opportuno comprarla. Intanto cominciamo a pensare a dove passare la notte e, visto che venendo avevamo visto un cartello che indicava un monastero di suore che davano ospitalità, io, M, la Lori, e la Fra’ ci avviamo per sapere se ci possono ospitare. Arriviamo ad un convento e suoniamo il campanello… dopo un po’, un bel po’, una voce fioca ci chiede chi siamo; noi spieghiamo d’essere scout e di voler chiedere ospitalità, ma lei ci risponde che loro sono suore di clausura e che il convento che ospitava era più avanti. Figura di m…a, ma chi poteva pensare che in una via ci fossero due conventi; vabbè che si chiamava via dei conventi, però… comunque procediamo, tra le risate, verso il secondo convento e li chiediamo ospitalità, ma ci viene risposto che le suore erano in periodo di esercizi spirituali e che non potevano ospitarci. Tornati dagl’altri senza soluzione, insieme decidiamo sul da farsi e mentre decidiamo, siamo distratti da belle ragazze che passano, due delle quali scout di Foligno: una guida e una scolta, e che scolta… Le opzioni sul da farsi erano due: o dormivamo sull’argine del fiume, dove avevamo visto un bello spiazzo di verde, o Nicola provava a contattare gli scout di Foligno che aveva conosciuto al campo nazionale. Così è stato, ma ci c’hanno detto che dovevamo aspettare un quarto d’ora e poi richiamarle. Nel frattempo la Giò va alla caserma dei carabinieri che era proprio lì davanti per chiedere se si poteva stare sull’argine e così comincia a parlare con un carabiniere e sembrava quasi ci provasse. Alla fine lui le dice che per loro si poteva stare sull’argine ma non sapeva se la polizia era d’accordo; arriva, però, il momento di richiamare la Michela, capo reparto del Foligno 2 e, a parere di Nicola, una gran bella capo reparto, che aveva nel frattempo chiamato la Bibi, che aveva detto a Simone di venirci a prendere perché ci prestavano la sede del reparto. L’appuntamento con Simone è al Tigre, un supermercato, ma non facciamo neanche a tempo ad arrivarci che lui ci raggiunge in macchina. Simone, anche lui capo scout, spiega la strada alla Giò che, ovviamente, la dimentica dopo venti secondi, forse distratta da Simone o forse perché aveva ancora in mente il carabiniere. Mentre noi c’incamminiamo, Nicola va in sede con Simone. Intanto noi c’eravamo trovati davanti ad un gran dubbio: bisognava attraversare il ponte o il sottopassaggio? Io dico il ponte, mentre M dice il sottopassaggio. Alla fine, per fortuna, attraversiamo il ponte, anche perché avevamo ormai capito che, se M diceva una parte, noi dovevamo andare dall’altra. Ad un certo punto del cammino verso la sede; un bivio. Destra o sinistra? La Giò dice destra e così si fa, ma errava. C’eravamo persi, ma grazie ad una telefonata ritroviamo la retta via ed evitando di fare quello che suggeriva M, siamo riusciti ad arrivare al campo di container dove si trovava la sede. Prima di arrivare, lungo la strada, M aveva visto un cartello che indicava un concerto di un gruppo chiamato “Kyrogenesis” (Secondo me diventeranno famosi! Abbiamo perso un’occasione… ndManuel)e ha cominciato a rompere per andarci ed ha poi continuato tutto il campo a rompere con i Kyrogenesis. La sede del reparto Ippogrifo era una casa di legno molto ben curata e all’interno era ordinatissima e, forse, se qualche esploratore di Monselice fosse stato là sarebbe rabbrividito a pensare alla sua sede monselicense. Restiamo lì in sede a chiacchierare un po’ con Simone sulla situazione sociale di Foligno e, soprattutto, sull’arrivo di un’ondata d’albanesi che hanno portato diffidenza e paura in città. Finalmente, alle 22.00, ceniamo con risotto ai funghi in bustina e panini con tonno. M, nel preparare il risotto per lui e Jack, ne fa una delle sue abbondando esageratamente col sale. Perdiamo un po’ di tempo e io e M giochiamo a freccette con una clamorosa sconfitta per il sottoscritto (tutto culo!!), poi laviamo le gavette, ci laviamo la faccia, mentre M e Jack si lavano tutti a pezzi usando le bottiglie per bagnarsi, e ci prepariamo a dormire. Tutti stendono gli stuoini per dormire per terra, tranne me che sono riuscito ad accaparrarmi una piccola poltrona ad una piazza e mezzo dove dormire. Dopo la buona notte tutti dormono, ma…durante la notte entrano dei gatti dalla porta che, nonostante il timore per gli albanesi, avevamo lasciato aperta. La Giò e la Lori vengono solo in parte disturbate dalla presenza animale, mentre noi neanche ce ne accorgiamo. Così finisce il primo giorno di avventura.

 2° giorno    Martedì      12/08/03

La sveglia suona alle sette e noi in tutta calma ci alziamo. Avevamo fino alle 9.00, quando Simone sarebbe arrivato per prendere le chiavi della sede, per prepararci, mangiare e fare la preghiera. È proprio dopo aver lavato le gavette, quando ognuno si prende la sua che nasce il soprannome M, perché M, per l’appunto, sarà andato avanti mezz’ora a dire che la gavetta con scritto M era la sua e sembrava che dovunque ci fosse scritto M fosse suo. Riusciamo a fare tutto senza problemi e, visto il leggero ritardo di Simone, ci resta anche del tempo dove scherzare e chiacchierare. Arrivato Simone, lo ringraziamo, lo salutiamo e dopo avergli consegnato le chiavi, partiamo. Purtroppo, anche da Foligno a Spoleto, non ci sono sentieri e così, onde evitare di camminare lungo l’asfalto per 20 km, decidiamo di prendere il treno. Arriviamo in stazione e prendiamo il treno delle 9.40. Il viaggio è stato tranquillo ed avevamo molto spazio a disposizione per sederci. Una delle fermate che il treno faceva prima di arrivare a Spoleto era Trevi, così, quando l’abbiamo vista, io ho scherzato dicendo: “Ah! Trevi. Dove c’è la famosa fontana”, ma M, molto seriamente, mi ha risposto: “Ah! Gia. È vero!”, il che ha suscitato molte risate tra di noi. Il viaggio termina alla stazione di Spoleto, dove smontiamo. Ci portiamo in centro città e ci fermiamo in un giardinetto con tanto di una bella fontana. Lì ci dividiamo in tre gruppi. Mentre i capi andavano a cercare un centro informazioni e la famigerata cartina 666 che avrebbe dovuto aver indicato il sentiero, M e la Fra’ vanno a far la spesa e noialtri restiamo alla fontana a guadare gli zaini. M e la Fra’ arrivano dopo poco, ma i capi non si vedono e, nell’attesa, noi ne approfittiamo per ricaricarci d’acqua e per rinfrescarci. Arrivati i capi, perdiamo un po’ di tempo giocando con l’acqua, ci mangiamo una mela e poi ripartiamo alla ricerca dell’imboccatura del sentiero. Prima di trovare l’inizio della ferrovia abbiamo dovuto fare un po’ di strada, arrivando fino fuori città. Comunque, dopo aver chiesto a delle persone, riusciamo a trovarlo e, dopo averlo percorso per mezzo km, ci siamo fermati per pranzare. Il sentiero si presentava come una tipica stradina in sassi, ma si poteva intuire che era una ferrovia ad un solo binario perché non era molto larga. Una volta fermatici abbiamo tirato fuori i fornelletti, le gavette e i petti di pollo, ci siamo divisi in gruppi da due e uno da tre e abbiamo cominciato a preparare da mangiare. Io ero insieme alla Giò, la quale si è inventata di raccogliere della menta selvatica per assaporare i petti di pollo ed è subito stata copiata da tutti. Abbiamo mangiato in tranquillità e poi ci siamo concessi un riposino per evitare di camminare con il sole di mezzogiorno. Prima di ripartire veniamo avvisati da Jack, che era andato in avanscoperta, che, dopo neanche cento metri, il sentiero era bloccato. Subito il primo, di una lunga serie di problemi. Tra lo sgomento per la scoperta e il terribile dubbio di dover lasciar perdere l’idea d’arrivare a Norcia, decidiamo di andare a vedere perché il sentiero era bloccato. Scopriamo che Jack non ci aveva detto che il cancellone, e lo chiamo così perché era bello alto e bloccato da due lucchettoni, era messo all’imboccatura di una piccola galleria. Decidiamo di oltrepassare il cancello per vedere cosa c’era dopo e, così, io, Jack, e Cesco passiamo per una fessura che c’era a sinistra del cancellone, mentre M passa per sotto, sporcandosi tutto e dimostrandoci ancora una volta la sua furbizia. Andiamo a vedere. Dopo la piccola galleria, all’interno della quale, come in tutte le gallerie, c’era ancora il sostegno per i fili elettrici, scopriamo un, a dir poco, fantastico viadotto che attraversava la vallata e finiva in un’altra piccola galleria. Visto che non sembravano esserci pericoli e che l’unica alternativa al viadotto era un sentiero lunghissimo del CAI che ci avrebbe fatto saltare tutta la ferrovia, siamo andati a chiamare gl’altri per passare tutti. Dopo aver fatto passare gli zaini sotto il cancellone, siamo passati tutti e tutti sono stati colpiti nel vedere quello spettacolo. Dopo che la Lori ci ha fatto un po’ di foto e che ci siamo gustati il paesaggio, siamo entrati nella seconda galleria, alla fine della quale, però, abbiamo trovato un altro cancellone. Stavolta, purtroppo, il cancello non aveva spazi ai lati ne’ sotto e così abbiamo ideato un modo per passare. I primi due scavalcavano, mentre i secondi due, io e Cesco, stavamo a cavalcioni sopra il cancello, a circa tre metri di altezza e prendevamo gli zaini che ci venivano passati da sotto per poi passarli a quelli dall’altra parte. Così, dopo aver passato tutti e nove gli zaini ed aver scoperto che M e la Giò avevano dei macigni dentro gli zaini e che quello di Jack era davvero leggero, siamo passati tutti, o quasi, senza problemi. Infatti, mentre la Lori, passava senza problemi, le altre due ragazze avevano parecchi problemi a causa delle loro gambe corte, forse a causa di troppe bugie. Dopo essere riusciti a passare tutti, siamo ripartiti ed abbiamo camminato per un bel pezzo senza problemi o sorprese. Poi, però, inaspettatamente, il sentiero era bloccato perché entrava in proprietà privata. Che fare? Scavalcare un cancellone era si illegale, ma entrare in proprietà privata era un’altra cosa. Ma, forse perché non c’erano alternative tranne un mini sentierino totalmente impraticabile con gli zaini o forse perché l’entrata in proprietà privata era facilitato da un buco nella rete, dopo che io e M siamo eravamo andati a vedere se il sentiero continuava ed eravamo tornati con risposta affermativa, siamo entrati tutti in proprietà privata. Abbiamo camminato per un bel pezzo in quella proprietà privata senza incontrare problemi e senza avere pensieri per la testa. Eravamo proprio un bel gruppo di ragazzi che, ridendo e scherzando, cantando canzoncine dove al posto del classico taratata mettevamo tontontonton e canzoncine che parlavano di una canna piena di maria, invece che di magia, camminavano proseguendo sul loro sentiero. Dopo un bel po’ siamo arrivati all’entrata di una villa, probabilmente dei proprietari della terra che avevamo attraversato. All’entrata c’era un cancello veramente strano che, invece di aprirsi spostandosi a lato, si abbassava fino a coincidere con l’asfalto. Il sentiero proseguiva fuori dalla proprietà privata, ma prima di imboccarlo, ci siamo fermati un attimo e tra dei cipressi abbiamo visto una cosa completamente inaspettata: due scoiattoli bianchi e neri che si rincorrevano e saltavano di albero in albero. Dopo dieci minuti siamo ripartiti e camminiamo per mezz’oretta sul sentiero ben messo, poi, però, diventa molto meno curato e pieno di piante. Si poteva camminare solo su una striscia di terra stretta e spesso eravamo costretti a scavalcare alberi caduti ed è stato proprio lì che io ho perso il mio affezionatissimo fazzolettone che avevo dal primo giorno di scout nove anni fa. E con lui perdo anche la mia molletta che avevo dal 1996. Ero proprio triste, ma sono riuscito lo stesso a notare come furono intelligenti nel 1920 gl’ingegneri che progettarono la ferrovia perché, visto che il percorso doveva girare a sinistra per proseguire, ma la pendenza era eccessiva, fecero fare un intero giro a destra alla ferrovia in maniera elicoidale in modo da farla salire dolcemente. Infatti, dopo aver fatto un pezzo di sentiero in salita tutto girando a destra, ci trovammo davanti ad un altro viadotto. Prima, però, c’eravamo fermati davanti ad un bivio, perché dovevamo andare a ricaricarci d’acqua e sembrava che l’altro sentiero portasse alla strada. Così, mentre alcuni di noi vanno alla ricerca dell’acqua e altri restano con gli zaini, io mi precipito indietro alla ricerca del mio fazzolettone, ma la ricerca non dà frutto. Dopo un po’ anche Jack e Cesco tornano con l’acqua e ci dicono di aver incontrato una signora che gli ha assicurato che, fino a Sant’Anatolia, sono solo tre quarti d’ora. Subito riprendiamo il cammino. Dopo aver oltrepassato il cancello che bloccava l’entrata al ponte, lo attraversiamo e ci troviamo davanti all’ex stazione di Caprareccia. Continuiamo tranquilli senza interruzioni, finché, dopo poco, ci troviamo davanti a quella che sapevamo essere l’attrazione più grande di tutto il viaggio: la galleria di due km o, per essere precisi, 1936 metri. Scavalchiamo senza esitazione l’ormai classico cancellone, e proseguiamo. Inizialmente decidiamo di dividerci in due gruppi distanti un centinaio di metri l’uno dall’altro, perché in questo modo, se ci fosse stato un crollo e un gruppo fosse stato bloccato, l’altro sarebbe potuto andare a chiamare aiuto, poi, vedendo che non c’era nessun rischio, ci siamo riuniti. Fino a metà galleria non si riusciva a vedere l’uscita dall’altra parte, perché la galleria era leggermente curvata in discesa. Noi però non potevamo saperlo e in molti di noi girava l’idea che la galleria fosse interrotta da un crollo. Man mano che avanzavamo, la tensione iniziale si azzerava e cominciavamo a parlare, a notare come le pareti fossero molto calcaree e a fare scherzi. Infatti, dopo essersi nascosto in quei classici buchi che c’erano in parte ogni pochi metri, penso per sicurezza, Cesco è saltato fuori e mi ha fatto spaventare un bel po’. A metà galleria, quando non si riusciva a vedere ne la luce dell’entrata ne quella dell’uscita, decidiamo di spegnere il canfino e di restare al buio. Era come aver gl’occhi chiusi, anche se non era così. Sembrava di essere immersi nel vuoto ed è stato molto emozionante. Dopo aver provato l’emozione del nulla, abbiamo riacceso il canfino per farci luce e siamo ripartiti. Quando mancavano ormai solo pochi metri all’uscita, vediamo i segni del terremoto, perché in due punti la galleria era leggermente franata. Subito tutti abbiamo pensato che, se avessimo visto quei crolli all’inizio e non alla fine, di certo non avremmo attraversato la galleria. Che fortuna! Dopo la galleria il sentiero proseguiva, ma non era più una stradina come prima, bensì una strada piena dei sassi che tipicamente si vedono anche sulle ferrovie odierne; il che ha causato un gran male a tutti i nostri piedi e la comparsa di vesciche a quelli di Fede e della Lori, la quale si è anche presa una bella tendinite, forse a causa delle sue scarpe da tennis. Anche se con il dolore ai piedi, abbiamo proseguito ad abbiamo attraversato molti fantastici viadotti e parecchie gallerie. La giornata è proseguita così, parlando e scherzando e pensando a quella “simpaticissima” vecchietta che aveva detto che sarebbero bastati tre quarti d’ora per arrivare a Sant’Anatolia. Si, in treno forse… camminiamo per delle ore ma ad un certo punto notiamo che il treno, per arrivare a Sant’Anatolia doveva scendere il monte e che faceva un giro assurdo tutto lungo la parete del monte per fare dei tornanti per scendere. Così, trovandoci davanti ad un sentiero che scendeva molto più rapidamente, lo abbiamo imboccato e, alla fine, ci siamo accorti di aver fatto la scelta giusta, perché il sentiero riincrociava la ferrovia più in basso. Ci eravamo risparmiati un’oretta di cammino e, visto l’orario, era stata un’ottima cosa. Finalmente siamo riusciti a finire la ferrovia, avevamo camminato per sette ore, e a sbucare in strada per arrivare al paese, ma prima di arrivare in strada, c’era una casa e lì ci siamo fermati e abbiamo chiesto al sig. Enzo, proprietario della casa, se ci ospitava offrendoci un posto dove piantare le tende e una fonte d’acqua potabile. Il sig. Enzo accetta molto gentilmente e ci fa vedere un campo d’erba spagna tagliata dove poter fare le nostre attività e dove poter dormire e cenare. Noi lo ringraziamo molto e ci prepariamo a cenare con risotto ai funghi. Durante la cena il sig. Enzo ci fa compagnia e chiacchiera con noi e come se non fosse stato già troppo gentile ci porta due bottiglie di vin bianco fatto in casa da bere in compagnia e tre meloni da mangiare dopo cena. Fantastico, al giorno d’oggi è proprio difficile trovare persone tanto gentili e che, come se non basasse, alla fine ci ha anche offerto un bicchierino di limoncello. Veramente fantastico, noi dobbiamo un grosso grazie al sig. Enzo. Dopo che il padrone di casa ci ha lasciato per andare a letto, noi ci siamo andati a lavare al rubinetto. È proprio bello lavarsi con l’acqua fredda a mezzanotte. Dopo aver fatto la preghiera, abbiamo steso gli stuoini per terra e la Giò, che per prima l’ha steso, l’ha bucato tutto ha causa della spagna secca e, così, noi, furbamente, sotto c’abbiamo messo il poncho. Abbiamo dormito senza tenda, dato che non era particolarmente freddo e che non rischiava di piovere, e siamo andati a dormire.

3° giorno    Mercoledì  13/08/03 

La mattina la sveglia è alle sette in punto. Una volta che ci siamo svegliati, abbiamo fatto colazione, lavato le gavette della sera prima e quelle usate per la colazione, ci siamo preparati gli zaini e abbiamo fatto la preghiera. Il momento religioso è durato parecchio, non tanto perché ci fosse molto da leggere, ma perché la sera prima era stato chiesto ad ognuno di noi di pensare a che impegno volevamo prenderci per essere meglio di Martedì e, adesso, ci veniva chiesto cosa avevamo deciso. Ovviamente, nessuno di noi aveva pensato a qualcosa, non perché non avevamo voglia, ma perché tra il sonno e il poco tempo, nessuno la sera prima ci aveva pensato. Così la mattina eravamo un po’ nei guai e non sapevamo cosa dire. Comunque dopo un po’ la preghiera è finita e, dopo aver perso un po’ di tempo a giocare con i cani del sig. Enzo e averlo ringraziato e salutato, siamo partiti. Seguendo la strada siamo arrivati a Sant’Anatolia, ma non ci siamo fermati. Attraversato il paesino, ci fermiamo ad una macelleria-supermercato. Li facciamo la spesa, mentre aspettiamo che la Giò e la Lori tornino. Infatti, loro erano andate con l’autostop alla ricerca di una farmacia dove comprare una cavigliera per la Lori che, con la tendinite, non riusciva a camminare. Proprio mentre aspettavamo le ragazze, M ne ha detta una delle sue: vedendo un cane simile a quello del sig. Enzo, ha detto che quello era il cane di Enzo; solo che al posto di Enzo lui ha usato la parola signore; nulla di grave, ma a noi è sembrato un po’ un’imprecazione e così, dopo averlo ironicamente rimproverato, ci siamo messi tutti a ridere. Dopo che sono arrivate le nostre autostoppiste, erano circa le 12, abbiamo chiesto dove cominciava il sentiero ad un signore che abbiamo incontrato al supermercato e che era un ex guardia forestale. Lui ci ha fatto vedere che il sentiero cominciava proprio lì, davanti al supermercato e ci ha assicurato che fino a Norcia il sentiero costeggiava sempre un fiume o un torrente, a seconda. Poi c’ha spiegato come tutti da queste parti ce l’abbiano con Scalfaro, perché, quando era presidente del consiglio, era stato lui a far smontare la ferrovia per sanare un deficit finanziario poi ha fatto vendere le terre della ferrovia e le gallerie che sono poi diventate fungaie. Proprio sulla questione fiume o torrente è nata subito una discussione fra Cesco e Jack, discussione che poi ha coinvolto anche M e che è durata un bel po’. In ogni caso era un torrente, a mio modo di vedere, anche se si chiamava fiume Nera, ed era vero che costeggiava sempre il sentiero che a sua volta costeggiava la strada. Così abbiamo camminato per un bel pezzo tra strada e torrente, anche se in alcuni punti il sentiero era bloccato e allora camminavamo in strada. Camminando camminando siamo arrivati sotto una collina, in cima alla quale è situato il paese di Vallo di Nera. Proprio all’inizio della strada che portava a Vallo, abbiamo visto uno spiazzo di verde che confinava con il torrente e lì abbiamo deciso di fermarci per pranzare. Mentre Nicola, la Giò e Cesco facevano l’autostop per andare al paese a prendere l’acqua, io, M e Jack abbiamo subito notato come fosse invitante l’acqua fresca e pulita di quel torrente. Così dopo esserci messi il costume in tutta fretta ci siamo gettati nell’acqua, a dir poco, ghiacciata del torrente. Dopo un po’ il freddo non lo sentivamo più e per tre quarti d’ora siamo rimasti in acqua a giocare, come se fossimo all’Aquafan. Uno dei “giochi” che riusciva meglio era tentare di nuotare controcorrente, oppure distendersi come un morto e lasciarsi trascinare per una ventina di metri. Quando i tre tornano, noialtri tre eravamo appena usciti dall’acqua, dopo esserci lavati per bene. La Giò ci racconta della figuraccia che ha fatto Cesco con dei tedeschi che lo hanno caricato. Infatti, mentre lui tentava di spiegarsi malamente in inglese, i tedeschi conoscevano perfettamente l’italiano, ma non l’hanno detto subito e si sono divertiti un poco alle spalle del nostro capo. Nicola invece ci racconta di essere stato caricato, insieme alla Giò, da una bellissima ragazza di nome Daniela, che non è il suo nome, perché Nicola non se lo ricorda, ma secondo lui gli stava bene e così la chiamiamo Daniela. Appena tornati, anche loro si fanno il bagno e con loro anche Fede, la Fra’ e la Lori ne approfittano e visto che non resistiamo alla tentazione, io e M ne facciamo un altro. Dopo il bagno pranziamo con i nostri fornelletti, come al solito, e, dopo un riposino, facciamo una bellissima attività. I capi ci dividono in tre gruppi: io e la Fra’, Fede e M, Nicola e Jack e ci raccontano di Vorlonia: un paese in provincia di Verona dove l’ottanta per cento dei giovani si droga. Ognuno dei gruppi era una realtà del territorio: io e la Fra’ eravamo il S.E.R.T. (servizio tossicodipendenti); Nicola e Jack erano il centro sociale “No Logo” e Fede e M erano l’azione cattolica. Ogni gruppo aveva un budget da spendere e delle ore di lavoro da suddividere tra chi lavorava. Ognuno doveva applicarsi per migliorare il paese a seconda delle proprie idee e, ogni tanto, i capi davano delle notizie flash come l’arrivo di una barca di albanesi da aiutare o la chiusura di una fabbrica che lasciava senza lavoro molte persone. Alla fine ognuno esponeva i propri progetti e i capi, la giunta comunale, decideva a chi dare finanziamenti. In realtà il gioco voleva farci capire che bisognava cooperare e, visto che nessuno aveva cercato la cooperazione di altri gruppi, nessuno ha vinto. Dopo questa divertente attività abbiamo “cazzeggiato” un po’ e poi, dopo aver nascosto gli zaini, siamo saliti tutti a piedi al paese con uno zaino pieno di bottiglie vuote da riempire. Lungo i due chilometri di strada sono molte le barzellette che girano, più o meno volgari, più o meno divertenti e sono molto le risate. Appena arrivati in paese notiamo che c’è la sagra del paese chiamata Festivallo e ci viene l’idea di andare ma i capi non rispondono. Dopo aver visitato il paese che è un piccolo paesino sul cucuzzolo di questa collina: un paese veramente fantastico pieno di piccole stradine e di case una attaccata all’altra molto caratteristiche e con un vecchio lavatoio dove giocando con l’acqua ci bagniamo e M bagna la Giò sulle “parti intime” e, così, la Giò è costretta a restare tutta la sera umida e sembrava si fosse pisciata addosso. Stiamo per andarcene quando ripassiamo davanti all’entrata del Festivallo e i capi si lasciano stranamente convincere a cenare là. In realtà, poi scopriremo che era tutto organizzato per farci fare un’attività sullo stare in comunità. Al Festivallo ci siamo presi un tavolo e abbiamo mangiato gnocchi al castrato e farro alla matricina per primo e agnello, salsicce e frittata al tartufo per secondo. Tanto per confermare l’ospitalità della gente in questi posti, ci vengono offerte due bottiglie de un litro e mezzo di verdicchio, un vino bianco del posto offerto da Mirko e Antonello che sono rimasti ammaliati nel vedere le nostre cape. Dopo cena ci portano anche i tozzetti in vin santo e la crostata di mele, anche queste offerte. A cena si ride e si scherza e io perdo il mio goccio di vin santo a morra cinese con Fede, ma poi ne guadagno un altro messo in palio per chi riusciva sapere quanti abitanti aveva Vallo. Così chiedo a un signore che mi consiglia di chiedere ad una signora che era la e che è il sindaco di Vallo. Senza troppi indugi chiedo alla sindaca che mi risponde che Vallo è un paesino di 500 abitanti ma che là in centro erano solo in 150, così vinsi il mio vin santo. Dopo cena la serata prevede un concerto del trio Albatros che cominciano suonando balli di coppia e, così, noi ci sbizzarriamo in imbarazzanti tentativi di imitare le coppie che sapevano ballare. Ridevamo come matti e facevamo un sacco di versi. Mentre noi siamo visibilmente in difficoltà a ballare, la Giò se la cava molto bene e viene adescata da un signore che la porta a ballare. Poi arrivano i balli di gruppo e li, seguendo tutti una ragazzina bionda che conosceva ogni ballo, sembriamo meno impacciati, anche se M e Jack cominciano a saltare a vanvera, quasi a voler pogare (magari si fosse potuto). Passiamo così la serata e alle 11.30, in piena festa, i capi decidono che è ora di lasciare la pista di ballo e di tornare agli zaini. Nonostante noi fossimo contrari, ce ne andiamo, ma, proprio quando ce ne stavamo andando, la Giò viene bloccata da una signora che le dice che siamo troppo simpatici e che dovevamo rimanere. Purtroppo la Giò non si lascia convincere e, prima di scendere, andiamo ad una fontanella a rifornirci d’acqua. Proprio mentre stiamo riempiendo le bottiglie, si sente dalla festa “Il Danubio blu”, un walzer, e la Giò e la Lori si mettono a ballare, scatenando le nostre proteste che volevamo restare ancora alla festa. Dopo il walzer torniamo giù e, una volta arrivati, tiriamo fuori gli zaini e ci prepariamo a dormire un’altra notte senza tenda. Dopo la preghiera siamo andati tutti a dormire.

4° giorno    Giovedì      14/05/03

La sveglia è, come al solito, alle sette e, posticipando la preghiera, riusciamo ad essere in cammino per le otto. Per un po’ il sentiero continuava a costeggiare la strada, poi si è inoltrato nel bosco seguendo il torrente. Era molto visibile che quel tratto di sentiero era usato e soprattutto che non era abbandonato a se stesso. La strada era molto curata e, ogni tanto, c’erano dei punti ristoro con dei tavolini e delle cartine che indicavano a che punto del sentiero ci si trovava. Mentre camminavano, non si sa perché, si comincio a parlare di cartoni (naturalmente si intendono quelli animati della televisione. Eh!…) e di sigle di cartoni. Io dicevo che la sigla dell’Uforobot, non so se avete presente: “mangia fiumi di elettronica, insalate di cibernetica, nello spazio sfreccia e va, ma chi è?, ma chi è?, l’uforobot, l’uforobot…”, è decisamente la migliore, mentre c’era chi diceva che la superba interpretazione di Piero Pelù in Daitan 3 è insuperabile. Ad un certo punto, mentre palavamo male di Pokemon e Digimon che rovinano la mente dei bambini, la Lori salta fuori con “Alvaro e Gnappetta”, un vecchio cartone che lei guardava da piccola. Comunque proseguiamo tra sigle di cartoni, tra cui l’immancabile Sampei drogato, e canzoni di Subsonica e di Elio. Attraversiamo alcune piccole gallerie senza cancello e, tra due di queste, Nicola scorge un angolo di paradiso, ma non voleva fermarsi perché camminavamo da poco (un’oretta e mezza). Io, però, che arrivo dopo di lui, non transigo e sono irremovibile nella mia decisione di fermarci. Neanche Fede voleva fermarsi, ma M e Jack sono d’accordo con me e i capi, vedendo il nostro entusiasmo, non possono fare altro che assecondarci. L’angolo di paradiso consisteva in un piccolo posto, in parte ad una galleria, dove l’acqua del torrente era fonda oltre due metri e circa due metri sopra al torrente c’era un masso dal quale ci si poteva buttare. Jack si è tuffato per primo e io l’ho seguito a ruota. Vi assicuro che è fantastico buttasi nell’acqua gelida del torrente, senza neanche abituarsi un po’ alla temperatura, ti si svegliano tutti i muscoli assopitisi col caldo. Mentre io, Jack, M, Nicola e la Giò ci buttiamo dal masso tentando tuffi fantastici, ma rifugiandoci sempre sul classico tuffo a bomba, Cesco si tuffa da un po’ più in basso e ci mostra un carpiato da campione. Era proprio bravo. Io, dopo un po’ d’esitazione, ho tentato d’imitarlo, ma, non l’avessi mai fatto, mi son fatto un male prendendomi una clamorosa schienata che sarebbe tipo la panciata, ma con la schiena. Un bruciore immenso mi colpiva e, forse, le mie urla hanno spaventato Jack che prima di provare la mia impresa c’ha pensato un po’ su. Poi, però, ci ha provato e, anche se non è riuscivo ad imitare Cesco, almeno non si è fatto male. Io volevo riprovare, ma ho evitato. Mentre noi facevamo i tuffi, la Lori, che come Fede ha evitato di farsi il bagno per non bagnare i cerotti alle vesciche e per non peggiorare la situazione alla caviglia, ci fotografava. Anche la Fra’ ha evitato di fare i tuffi, ma il motivo, più che la voglia che non c’era, era la paura. Uno dei tuffi fotografati è stato quello che vedeva impegnati me, Nicola, M e Jack in un tuffo a bomba in quattro contemporaneamente. La prima volta che l’abbiamo provato, era Nicola a dare il via e si era previsto di lanciarsi al “via”. Lui, però, non ha contato: “uno, due ,tre, via.”, bensì: “uno, due, via.”. Il che mi ha colto molto impreparato e così, mentre tutti si sono tuffati, io sono rimasto piantato là (che Tonno… ndNicola). Così, abbiamo rifatto il tuffo e stavolta ho contato io. Ridendo e scherzando, tuffandoci e giocando con l’acqua, era passata un’ora. Ci siamo cambiati in fretta e siamo ripartiti. Verso mezzogiorno eravamo arrivati a Borgo Cerreto, paesino dove il sentiero si interrompeva e finiva la parte curata. Entrati in paese, abbiamo trovato delle panchine dove sederci e, come al solito, ci siamo divisi in tre gruppi: spesa, informazioni e controllo zaini. Dopo che il gruppo spesa è tornato con una sorpesona davvero “ona”,cioè un’anguria immensa, abbiamo cercato un posto dove mangiare e lì vicino, abbiamo trovato dei tavolini adibiti per la festa del fungo. I tavolini per la festa locale erano vuoti e dopo aver chiesto se potevamo utilizzarli ed aver ricevuto risposta affermativa, ci siamo messi a far da mangiare. Dopo aver mangiato tranquillamente, quasi tutti, a turno, e con me come predecessore, siamo andati al bagno per toglierci un po’ di chili dal corpo. Mentre mangiavamo abbiamo tutti notato come la criminalità in quel paese doveva essere zero. Infatti c’erano tutte le forniture del bar della festa la all’aperto e lo stesso banco del bar era accessibile nonostante il bar fosse chiuso; e se fosse successo a Monselice? Quanti secondi sarebbe resistita la roba prima che qualcuno la rubasse? Gran pochi. Prima di fare l’attività, abbiamo mangiato l’anguria, ma anche mangiandone due o tre grandi fette a testa, non siamo riusciti a finirla e così l’ho personalmente offerta a dei signori che stavano pranzando vicino a noi. Dopo aver fatto la preghiera che non avevamo fatto la mattina, i capi ci hanno spiegato l’attività che dovevamo fare. Sostanzialmente si trattava di creare un ipotetico disegno di legge per la comunità europea, per rendere o non rendere obbligatorio il servizio civile al posto di quello di leva. Ci siamo divisi in due gruppi: io, M e Jack, a favore, e la Fra’, Nicola e Fede, contro. Mentre noi creavamo il nostro disegno di legge i capi erano andati sul ruscelletto che scorreva li affianco a fare qualcosa, ma non so cosa. Comunque io, Jack e M abbiamo finito prima degl’altri e io ne ho approfittato per stendermi su una panchina, ma Cesco, vedendomi, si è arrabbiato e ha insistito perché mi alzassi. Io mi sono rifiutato, e solo dopo che Cesco ha cominciato ad urlare, ho obbedito. È stato l’unico momento del campo in cui abbiamo rischiato di arrabbiarci. Ad ogni modo abbiamo subito fatto pace. Nel frattempo sono arrivati gli organizzatori della festa i quali hanno aperto il bar e ci hanno detto che loro aspettavano un gruppo di scout che andasse ad aiutarli, ma non si erano mai presentati. Quasi quasi restavamo lì e trasformavamo il nostro campo a sorpresa in un campo di servizio, però ci abbiamo subito ripensato. Finita l’attività Cesco ci saluta, perché, non avendo trovato le ferie e nessuno che lo sostituisse al lavoro per venerdì, sabato ed domenica, doveva tornare a Monselice. Lasciando stare le considerazioni sul museo dove lavora Cesco che è proprio affianco alla mia scuola e dove, in tutto l’anno scolastico è stato chiuso e va ad aprire proprio il giorno di ferragosto e il fine settimana adiacente, ci dispiaceva molto che Cesco se ne andasse, però era inevitabile. Dopo averlo salutato per bene ed averlo visto andare a prendere l’autobus, siamo rimasti un altro po’ a riposarci e poi siamo ripartiti. Usciti dal paese, abbiamo ritrovato l’imbocco del sentiero che non era mal messo. Era, come al solito, una stradina. Dopo aver camminato del tempo tranquillamente ed aver incrociato una piccola centrale idroelettrica, ci siamo trovati davanti all’ennesima galleria, ma questa volta… per la prima volta, sul cancello della galleria era appeso un cartello con scritto: “pericolo”. Io, come altri, non mi sono preoccupato più di tanto, ma i capi, anzi le cape visto che Cesco se n’era andato, e altri tra di noi hanno preso la cosa molto seriamente. Così la Giò e la Lori hanno pensato che sarebbe stato meglio se loro due fossero andate avanti a controllare. Così è stato. Dopo un po’ sono tornate dicendo che non avevano visto crepe e che sembrava sicura, ma che avevano visto delle orme che sembravano di cinghiale e degli escrementi freschi. A questo punto ci viene un dubbio: può essere che dei cinghiali vivano dentro alla galleria da quando l’hanno chiusa cibandosi solo dei funghi dell’ex fungaia? “Nooo, impossibile, però potrebbe essere che la galleria sia aperta dall’altra parte e che il cinghiale entra ed esca a piacimento” pensiamo. Noi però non ci lasciamo intimorire e decidiamo di proseguire e passiamo tutti, nonostante le solite difficoltà per la Giò e la Fra’. Andiamo avanti tutti insieme e, quando vediamo le orme, ci rendiamo conto che, più che cinghiali, di là erano passate delle mucche e la nostra ipotesi ci viene confermata quando troviamo per terra una gran, scusate il termine e la volgarità, “boasa” che in dialetto veneto è una merda. Poi, casualmente, Jack punta la pila in avanti e si vedono due sagome di mucche. Sarà stato il buio, il fatto che si vedevano male o la posizione che avevano, infatti erano una affianco all’altra e bloccavano il passaggio, comunque noi ci siamo un po’ tutti spaventati e, senza farci prendere dal panico siamo tornati indietro e abbiamo deciso sul da farsi. Stavamo pensando a come facevano delle mucche ad essere li e Jack salta fuori con l’idea che fossero mucche nascoste là da dei contrabbandieri di animali, mentre Nicola sosteneva che quelle mucche in realtà erano transgeniche con enormi occhi rossi e denti insanguinati, forse ha visto troppi film di fantascienza, o forse stava scherzando e noi ci siamo cascati come peri… Poteva essere e l’idea di Jack sembra convincere quasi tutti. Alla fine abbiamo deciso di cambiare strada. Io e Jack, che eravamo davanti, abbiamo incontrato due pescatori ai quali abbiamo chiesto quale sentiero ci conveniva prendere e loro ce ne hanno indicato uno che, a lor dire, finiva in una stazione della vecchia ferrovia fuori dalla galleria. Tutti convinti abbiamo proseguito per quel sentiero che, però, ci porta all’entrata di una casa e la termina, bastardi di pescatori. Arrivati alla casa abbiamo incontrato un signore in un orto che ci ha detto che non c’era più strada e che ci ha consigliato di dormire da lui. Noi abbiamo accettato di buon grado e ci siamo fermati da questa coppia di anziani signori molto simpatici e molto disponibili, tanto per avvalorare la nostra tesi che da queste parti sono tutti molto ospitali. Dopo esserci sistemati sul prato di questa coppia, ci siamo fatti da mangiare e, dopo mangiato, abbiamo fatto l’attività. Il tutto consisteva nel riuscire ad improvvisare una scenetta. Mi spiego meglio: ognuno dei due gruppi nei quali c’eravamo divisi, doveva pensare ad una scenetta. Cominciava il primo gruppo rappresentando la propria scenetta, ma ad un certo punto i capi chiamavano il cambio e il secondo gruppo doveva continuare la scenetta senza saperne la storia. Al secondo cambio il primo gruppo doveva riprendere la scenetta da dove era stata lasciata dall’altro gruppo e riuscire a completarla dandoci un senso compiuto. Il tutto è stato fatto due volte e mentre si facevano le scenette, venivano fuori innumerevoli battute su tön: innanzitutto il gruppo dov’era Nicola e dove non ero io, aveva incentrato la loro scenetta su un venditore di tonno, poi, ad esempio, quando uno bussava, non faceva toc toc, ma ton ton e, naturalmente, quando la porta si apriva faceva uno strano stridio tipo tooooooon. Così è andata avanti per tutta la sera. Dopo la preghiera abbiamo steso gli stuoini e ci siamo messi a dormire ed è stato quella sera che, cercando un cuscino ed avendo vicino solo le bottiglie d’acqua, ho scoperto che le bottiglie sono proprio comode per poggiare la testa. Poi abbiamo dormito tutti

5° giorno    Venerdì      15/08/03

Arriva venerdì e, quindi, ferragosto, ma a noi, che sia ferragosto o un giorno qualsiasi, non ci cambia niente. Come di consueto, la sveglia è alle sette e, dopo aver fatto colazione in tutta calma, mentre io e Jack, lavavamo le gavette, M gioca con i numerosi gattini dei signori e, quando viene lasciata, anche con Melissa, la cagna dei due signori. Dopo aver perso un po’ di tempo con i gatti e con Melissa, i due signori c’invitano in casa a bere un caffè e noi accettiamo volentieri. Approfittando della nostra distrazione, intanto, Melissa si è pappata tutta la porchetta che avevamo avanzato dal pranzo di Giovedì e tutto il formaggio avanzato dalla sera prima. Chiacchieriamo un bel po’ con i signori e loro, dopo aver conosciuto la nostra disavventura con le mucche, ci consigliano di riprovare ad attraversare la galleria. Noi ripartiamo e seguiamo il loro consiglio e, così, muniti di bastoni rientriamo nella galleria e avanziamo con calma. Fortunatamente, di mucche neanche l’ombra perché erano sicuramente uscite dall’altra parte della galleria che troviamo senza cancello. La scelta di riprovare con la galleria, si era rivelata giusta, ma poi scopriremo che c’eravamo andati a mettere in un bel guaio. Infatti, appena usciti dalla galleria, abbiamo incrociato un’ex stazione ma, dopo di essa, il sentiero diventava impraticabile, perché era tutto coperto da rovi e ortiche. Pensavamo che fosse corto il pezzo così mal ridotto e, così, facendoci largo tra le numerosissime ortiche con dei bastoni, siamo avanzati per un po’, ma, visto che le ortiche non sembravano finire, ci siamo fermati ed abbiamo deciso di cercare un modo per arrivare alla strada asfaltata. Allora io e la Giò, abbiamo guadato il torrente che avevamo alla nostra sinistra per trovare un sentiero. Nell’altra sponda, però era recintato e sembrava una rete vecchia e non usata da anni, tanto che in un punto era quasi caduta e in quel punto abbiamo deciso di scavalcare. Non abbiamo neanche fatto a tempo a poggiare i piedi in terra che sentiamo, da sopra il pendio, una voce che ci urla dietro. Così, come se non avessimo avuto già tanta sfortuna a trovare il sentiero bloccato, vediamo un uomo che ci urla dietro in maniera molto scortese ed arrabbiata: “Ehi! Chi siete voi? Cosa ci fate qui? Dov’è il mio maiale? Ma avete rubato la Nina? Io vi denuncio, datemi nome e cognome che vi denuncio.”. l’uomo, vedendoci nella sua proprietà, pensava che noi gli avessimo rubato la Nina, ovvero il suo maiale. Alla richiesta di nome e cognome, noi ci siamo spaventati parecchio. Mentre io volevo andarmene via senza dare retta a quell’uomo, la Giò ha provato a spiegargli chi eravamo e che, avendo trovato il sentiero bloccato, avevamo attraversato. L’uomo non ci dava retta e voleva solo sapere della Nina, quando, da dietro degl’alberi, spunta questo grosso maiale nero che corre su per la collina. Nel vedere la Nina, la faccia dell’uomo cambia radicalmente e anche il suo atteggiamento. Adesso è gentile e, anche se è ancora un po’ arrabbiato, perché, a suo dire, gl’avevamo rotto la rete, è disposto ad aiutarci e ci spiega come salire per arrivare alla strada. Dovevamo tornare alla stazione e lì, secondo lui, avremmo trovato un sentiero che c’avrebbe portato su. Io e la Giò, dopo avergli sistemato la rete, siamo tornati indietro e, dopo aver raccontato tutto agli altri, abbiamo provato a fare ciò che c’avevano consigliato. Abbiamo trovato un posto dove l’acqua era bassa, come c’era stato detto, ma non abbiamo trovato il sentiero. Così, dopo aver aiutato la Lori e Fede a passare senza bagnarsi i piedi, ci siamo fatti largo tra le ortiche e siamo giunti in un pendio molto ripido, adibito, probabilmente, al pascolo delle pecore. Abbiamo risalito il pendio e siamo arrivati in strada dove abbiamo trovato il signore di prima, Enzo anche lui, che si era notevolmente calmato ed era diventato estremamente amichevole. Con lui c’era anche un suo amico e con loro abbiamo passato un quarto d’ora e più a chiacchierare. Scopriamo così che Enzo è una specie di leggenda vivente, un vero mito locale. C’ha raccontato delle sue esperienze come minatore, del fatto che lui ha costruito alcune delle gallerie che avevamo passato e che, sempre lui, le aveva trasformate in fungaie; c’ha detto che lui aveva allargato la strada dove eravamo in quel momento, e che ora era proprietario di una trattoria in centro. Ma la passione più grande di Enzo era andare a tartufi e, infatti, in tasca aveva dei tartufi che ci ha gentilmente mostrato e fatto annusare. In quelle zone è il re dei tartufari: lui, una volta portava a casa qualcosa come dieci quintali di tartufi all’anno; preferisce andare tartufi con i maiali, anche se possiede anche dei cani addestrati per trovare i tartufi. Siamo ripartiti, dopo che Enzo c’aveva raccontato molte storie che, a sentire il suo amico erano tutte vere, ed aver capito perché era così preoccupato per il maiale: infatti, tempo prima, lui aveva un cavallo che dei pescatori, rompendo la rete di prima, avevano fatto scappare; il cavallo era poi salito fino alla strada dove è andato addosso ad una macchina e, così, Enzo, oltre a perdere il cavallo aveva dovuto pagare dieci milioni di lire per far aggiustare la macchina. Arriviamo vicino al centro del paesino che si estendeva tutto lungo una strada, lì Enzo, che nel frattempo ci ha raggiunto, ci mostra un parcheggio dove poter mangiare e ricaricarci d’acqua. Noi ci prepariamo da mangiare e salutiamo Enzo che, mentre stavamo mangiando, torna e ci fa compagnia raccontandoci altre storie come quella che dice che lui ha percorso novanta km in bici a cinquant’anni alla ricerca di un suo cane che era stato rapito, poi si fa raccontare da noi dei nostri colli, perché lui era stato una volta ad Abano Terme e quasi ci andava a vivere. Insiste poi nel dire che sicuramente nei nostri colli c’erano dei tartufi. Dopo un po’ se ne va e, mentre noi ci riposiamo, la Giò e la Lori vanno alla trattoria d’Enzo, la “trattoria del tartufaro”, dove incontrano il figlio di Enzo che le assicura che le storie del padre erano tutte vere e documentate da foto appese in trattoria che, però, loro non vanno a vedere, perché erano appese in sala da pranzo. Dopo pranzo siamo partiti per una strada che ci avrebbe portato sulla provinciale che portava a Serravalle, dove il sentiero riprendeva. La strada che avevamo imboccato era una strada abbandonata che era stata chiusa in seguito a delle cadute di massi causate dal terremoto. Infatti, c’erano degli immensi sassi sulla strada, alcuni dei quali avevano addirittura sfondato l’asfalto. Lungo la strada, abbiamo trovato un posto chiamato “Balza Tagliata” che era d’età preromana. Qui si poteva ammirare un sentiero scavato completamente nella roccia e si poteva vedere un’immensa lapide ma non si riusciva a leggere l’iscrizione perché era stata messa della vernice per coprire le parole. Proseguendo siamo arrivati alla provinciale e siamo sbucati proprio all’entrata di una galleria paravalanghe, ovvero quelle gallerie che sono aperte da un lato. Proprio nel lato dove era aperta, c’era uno spiazzo e ci siamo fermati là perché, essendo la provinciale molto stretta e molto trafficata ci sembrava troppo pericoloso proseguire a piedi lungo quella strada. Così non ci restava altro sa fare che ripiegare sull’autostop. Decidiamo, allora, che il modo migliore per convincere le macchine a fermarsi è mandare la Giò, la Lori e la Fra’, munite di fazzolettone e di cartello indicante Serravalle, sul ciglio della strada. Decidiamo anche di non montare mai in macchina da soli, ma a due a due e formiamo così le coppie. Passa circa mezz’ora prima che la prima macchina si fermi e la Lori e M montano; dopo poco se ne ferma un’altra e, visto che c’era spazio, siamo montati in tre: io, Fede e Jack. Noi tre veniamo caricati proprio da un signore che dice di essere di “Italia nostra” e che ci fa sapere che stava andando a Norcia proprio a discutere riguardo la vecchia ferrovia. Molto gentilmente ci fa smontare in un parcheggio di Serravalle, altro paesino molto piccolo, dove incontriamo la Lori e M. dopo poco arrivano anche Nicola e la Fra’ che ci dicono che la Giò era rimasta da sola. Dopo un po’ di attesa, vediamo arrivare anche la Giò. Casualmente veniamo smontati tutti sul parcheggio davanti all’entrata del centro rafting. Sapevamo già dal primo giorno che vicino Norcia c’era un centro di rafting e si era spesso parlato di provare, ma la risposta dei capi è stata negativa e noi non abbiamo insistito troppo vedendo com’era. A Serravalle rincominciava il sentiero e mancavano solo sei km da Norcia. Abbiamo deciso di non farli tutti perché altrimenti saremmo arrivati a Norcia troppo presto e così, dopo aver fatto la spesa, siamo ripartiti. Il sentiero era bello, anche se costeggiava la strada. Dopo tre km il sentiero spariva inglobato dai campi e così abbiamo deciso di fermarci lì, anche perché, nel negozio dove avevamo fatto la spesa, ci avevano consigliato di fermarci “ai casali” dove c’era un mulino abbandonato. Proprio subito dopo aver trovato il mulino abbandonato, ha cominciato a piovere. Era la prima pioggia dall’inizio del campo e sarebbe stata anche l’ultima, per fortuna. Il mulino era chiuso ma aveva una tettoia dove ci siamo riparati. Mentre noi stavamo sotto la tettoia, la Giò e la Lori sono andate a cercare ospitalità in una casona con un gran portico, ma, per la prima volta, i proprietari non hanno voluto darci neanche un posto nei loro campi. Sfortuna delle sfortune, tutte le case di quel gruppetto che formavano la frazione di “casali” erano di proprietà della stessa famiglia e, a parte un affittuario (e mi hanno riferito che era un gran bel pezzo d’affittuario) che ci avrebbe ospitato ma non poteva per non entrare nei casini con i suoi padroni, nessuno ci ha voluto. Così siamo andati nel campo che inglobava il sentiero e, nonostante il campo fosse di quelli che non c’avevano voluto, abbiamo, per la prima volta, piantato le tende. Siccome i proprietari continuavano a fissarci dal loro mega balcone, noi ci siamo nascosti dietro a degl’alberi. Dopo aver cenato abbiamo fatto un’attività sulla meditazione che consisteva, per la prima parte, nel chiudere gli occhi, rilassarsi e pensare a quello che leggeva la Lori. Si parlava di luci, d’emozioni e di fede. Io, purtroppo non ho potuto concentrarmi nel pensare a causa del mal di schiena che mi affliggeva a causa della posizione in cui ero. Altri sono stati attenti, ma molti sono stati scettici e hanno sostenuto che era solo una perdita di tempo e che loro non vedevano nessuna luce. La seconda parte consisteva nell’esprimere, con l’ausilio di un telo nero, l’emozione che più c’aveva colpito durante il campo. Questa parte dell’attività è riuscita meglio della prima, ma, forse a causa della mal riuscita della prima parte, neanche questa parte non è stata eccezionale. Dopo l’attività siamo andati al letto: io, M e Jack su una tenda; Fede e Nicola su un’altra e la Giò, la Lori e la Fra’ su un’altra. La notte passa tranquilla.

6° giorno    Sabato                 16/08/03

Il sabato comincia con molta calma e, dopo aver fatto colazione, laviamo le gavette e cominciamo a smontare le tende. Toccava a me e Jack che andiamo a lavare le tazze e le gavette di tutti. Avevamo già finito di lavarle sul torrente, quando, risalendo verso le tende, a Jack cadono il bicchiere di M e la tazza di Fede che finiscono in acqua e spariscono trascinati via della corrente. Peccato, la colpa viene ironicamente data alla Fra’ che, a parere di tutti, doveva tuffarsi in acqua per recuperare i tesori anche se non sa nuotare. Nessuno se la prende e, dopo aver smontato le tende, ripartiamo. Camminando lungo la strada, visto che il sentiero era sparito, arriviamo alle “marcite di Norcia”: una zona paludosa piena di mulini abbandonati. Era una zona molto pittoresca e abbiamo deciso di andare a vedere. Stavamo saltando un ruscelletto, dopo aver guardato un mulino, quando, in fondo alla stradina che avevamo imboccato, vediamo una telecamera che sembrava proprio riprendere noi. Siamo andati avanti senza darci troppo peso, ma continuavano a fissarci, quando eravamo vicini al cameraman, è spuntato fuori un giornalista che c’ha voluto intervistare. Ha cominciato a fare domande alla Giò riguardo alla scelta che avevamo, preferendo un percorso naturalistico in Umbria, invece di andare al mare. Il servizio voleva proprio sottolineare come l’Umbria fosse una valida alternativa al mare. Dopo aver intervistato la Giò e M, mentre tutti erano andati avanti e io aspettavo gl’altri due, il giornalista mi è avvicinato e mi ha fatto qualche domanda sempre sullo stesso argomento. Dopo che c’avevano intervistato, abbiamo chiesto che rete fosse e ci hanno risposto che il servizio sarebbe andato in onda il giorno stesso sul telegiornale regionale dell’Umbria. Poi abbiamo scoperto che il signore affianco al giornalista era niente popò di meno che il sindaco di Norcia. Con lui la Giò e la Lori hanno discusso sul pessimo stato dell’ex ferrovia e, dopo averne parlato con il giornalista, hanno deciso che si poteva dirlo in televisione e, così, la Lori ha espresso tutto il suo disappunto sulla ferrovia davanti alla telecamera. Dopo le interviste, abbiamo proseguito per il nostro sentiero e siamo arrivati a Norcia. Ci siamo fermati ad un parchetto fuori le mura e, lì, abbiamo mangiato. Mentre facevamo da mangiare i capi hanno deciso di fare il ricevimento come ai lupetti, ovvero un momento in cui, uno alla volta, noi parlavamo coi capi sull’anno trascorso e su quello che vorremo fare nel futuro. Io sono andato per primo e, essendo per me stato un bellissimo anno dove tutto è andato per il meglio, in cinque minuti me la sono cavata. Poi è toccato a M, poi, man mano, a tutti gl’altri. Mentre si facevano i ricevimenti, c’era chi preparava da mangiare, chi girovagava e cazzeggiava ed io che avevo cominciato a scrivere questo libro. Dopo il pranzo con pancetta e bistecche, i ricevimenti sono continuati. Finiti i ricevimenti, abbiamo fatto, in compagnia della pessima musica mandata dal juke box, la verifica del campo, dove abbiamo discusso su tutto ciò che riguardava il campo come le attività, il percorso, il gruppo e tutto il resto. Dopo è arrivato un periodo di toltale “svaccamento” in cui abbiamo giocato a stella e abbiamo fatto vari versi. In più siamo andati sempre avanti indietro tra il centro e il parco per trovare un posto dove dormire. Prima Nicola, Fede e la Fra’ sono andati da dei monaci che gl’hanno detto di essere al completo e li hanno mandati da delle suore, le quali li hanno rimandati dai frati e in alternativa in una parrocchia. Loro sono tornati da noi al parco e hanno detto che bisognava andare alla chiesa di Santa Maria. Io, Jack, la Fra’ e M siamo andati, ma siamo arrivati proprio all’inizio di un funerale e, anche dopo il funerale non abbiamo trovato il prete. In mezzo a tutto questo casino, ci siamo dimenticati di andare in un bar per vedere il tgr, comunque ci siamo gustati una bella vista e ci siamo rifatti gli occhi al parco con un paio di biondine e altre belle ragazze che c’erano lì. Non avendo trovato posto dove dormire, siamo tornati indietro e ci siamo accampati lungo un sentiero. Mentre gl’altri preparavano la cena, io, M e Jack siamo andati a lavarci in posto fantastico scoperto da Nicola, sotto un ponte il ruscello abbastanza grande e sassoso invece che coperto di alghe scivolose. Dopo cena abbiamo fatto deserto: un momento che ognuno si prende per stare da solo e riflettere e, dopo il deserto abbiamo fatto la cerimonia delle firme della carta di clan. Dopo la cerimonia, visto che non era molto tardi e che non avevamo sonno, siamo andati a farci un giro in piazza. Noi speravamo che i capi ci offrissero da bere almeno uno spritz, ma niente. Siamo rimasti un po’ ad ascoltare una banda che suonava in piazza, ma, quando si sono messi a suonare Ciuaua, o come diavolo si scrive, ce ne siamo andati di corsa. Dopo aver girato un po’, siamo tornati indietro e siamo andati a letto. È stata una giornata calma, ormai eravamo arrivati alla mèta e la giornata è passata via tranquilla.

7° giorno    Domenica  17/08/03

La sveglia è stranamente ritardata alle otto. Dopo aver fatto colazione, per la prima volta, con latte e cioccolata al posto del the e con 1 kg di biscotti e marmellata, abbiamo sbaraccato mentre Fede e Nicola sono andati a lavarsi. Dopo essere andati a messa, siamo andati alla fermata del bus che ci avrebbe portato a Spoleto, dove avremmo preso il treno. Siamo arrivati alla fermata di mattina, ma l’autobus era alle due. Nell’attesa, mentre la Giò e la Lori sono andate a visitare una mostra, io e M siamo andati a comprare i “ricordini per tutti. per me e Nicola abbiamo comprato una bottiglia di grappa al tartufo, d’amaro al tartufo e un salame al cinghiale. Anche la Fra’ ha voluto un salame al cinghiale e anche Fede che, però, ha anche comprato un affettato locale: il “coglione di musso”, così si chiamava. M ha preso un salame al cinghiale, un coglione di musso e un bottiglia di grappa. Dopo le compere abbiamo mangiato panini, e che panini. Dovendo finire le due mortadelline, il salame e il formaggio che ci rimanevano, sono venuti fuori due panini a testa, ma non dei panini normali, bensì mortadella con un po’ di pane; basti pensare che il mio panino aveva nove strati di mortadella, una cosa incredibile. Dopo esserci abbuffati, ci siamo riposati in attesa dell’autobus e io ho finto di essere un barbone. Essendo stanco, mi sono disteso a dormire sul marciapiede e, avendo il berretto, l’ho appoggiato davanti a me a mo’ di contenitore. Mentre aspettavamo l’autobus, abbiamo anche fatto le foto che mancavano per finire il rullino. Arrivate le due, è arrivato anche l’autobus. Siamo saliti dopo aver caricato gli zaini sul portabagagli sotto e siamo partiti. L’autobus non ha fatto fermate intermedie ed era praticamente vuoto. Durante il viaggio abbiamo dormito un po’ tutti. Arrivati a Spoleto, dovevamo prendere l’intercity verso Roma e smontare ad Orte. Il treno è arrivato in orario ma era pieno zeppo di gente. Siamo dovuti restare in piedi in corridoio per quasi tutto il viaggio e, con il caldo che era, non è stata una bella cosa, ma non era niente rispetto a quello che ci sarebbe aspettato dopo. Infatti, l’intercity Reggio Calabria – Milano, non voleva più arrivare. Già dovevamo aspettare mezz’ora senza ritardi, poi, aggiungendoci gl’ottanta minuti di ritardo che aveva il treno, abbiamo aspettato quasi due ore. Il ritardo c’ha naturalmente causato la perdita della coincidenza che da Bologna ci avrebbe portato fino a Monselice. Per fortuna, l’intercity era del tipo con le cabine a sei posti e il corridoio con le seggiole. Siamo riusciti tutti a sederci in corridoio e, a metà viaggio, io e Jack abbiamo trovato dei posti dentro una cabina, dove c’era l’aria condizionata. Il viaggio è trascorso tranquillo e siamo arrivati a Bologna con 95 minuti di ritardo. Nello smontare, è successo un aneddoto molto divertente: c’era una ragazza cinese che doveva smontare e poi doveva andare a Padova e non capiva una parola d’italiano. A capito, però, subito, parlando con la Lori, che anche noi dovevamo andare a Padova e così ci si è incollata addosso come una mosca sulla …. La cosa strana è, però, un’altra: prima di entrare in stazione a Bologna, il treno si è fermato, probabilmente per lasciare libero il binario o perché c’era traffico in stazione. Comunque, appena il treno si è fermato la ragazza ha cominciato a chiedere a tutti: “Bologna? Bologna?”; al che la Lori gl’ha detto che eravamo a Bologna e questa, ha improvvisamente aperto la porta del treno, ma appena si è accorta che non eravamo in stazione, l’ha subito richiusa. Allora ha richiesto se eravamo a Bologna e la Lori le ha detto che non eravamo ancora in stazione e questa si è rannicchiata su se stessa e stava quasi per piangere. È stata così finché il treno non è arrivato in stazione. Allora si è alzata e, prima di smontare, ha sputato sugli scalini e poi è smontata. Perché l’avrà fatto? Il punto è che poi, venendoci dietro in stazione verso il binario dove c’era il treno per Padova, l’ha fatto di nuovo. Comunque prendiamo il treno delle 22.30 che ci avrebbe fatto arrivare a Monselice intorno a mezzanotte. Il treno era completamente vuoto e avevamo un vagone tutto per noi, stavolta senza controllori stronzi (ricordate l’andata?). Parlando e, soprattutto, dormendo, il viaggio finisce e arriviamo a Monselice dove c’aspettano le nostre famiglie. Il campo è finito. Peccato, anche perché, se non fosse stato per il ritardo, volevamo andare a mangiare alla festa de L’Unità a Stanghella; sarà per la prossima volta.

I nostri eroi hanno finito la loro avventura e si salutano.

Arrivederci alla prossima.