Campo Estivo 2013- un’avventura tra le pagine

Sembra che siamo di nuovo in quel momento dell’anno e non ci vuole molto a capire, tra casse quasi riempite, tende lavate, stirate e profumate (magari!), viavai di squadriglie in sede, novizi terrorizzati in preda a dubbi atroci, che stiamo per partire per il campo estivo.
Nessuno di noi sa cosa ci aspetterà, se non, più o meno, l’idea della routine di un qualsiasi campo. Forse, parlare di routine è riduttivo, poiché ci sono, sì, abitudini fisse (alzabandiera, ginnastica, fuoco e piatti da lavare), ma assolutamente ogni giorno sarà diverso, come sempre. Anche se le sorprese non mancheranno certo… già, perché nessuno di noi sa esattamente cosa aspettarsi quando la Biblioteca più grande del mondo spalanca le sue porte e ti ospita non tra le sue pareti, ma tra le pagine dei suoi libri.
E, chiederete, dove sarebbe? Ah, che domanda!, a Salutio, dove le vostre menti e i vostri corpi potranno trovare riposo e ristoro, per vivere mille storie diverse.
Beh, non essendo in possesso di molte altre informazioni al riguardo, non posso prevedere grandi cose (come quantità, perché come qualità di certo non saranno deludenti), ma parlando come persona che ormai ha tre campi estivi alle spalle, vi assicuro che sarà divertente e bello, come sempre, d’altronde.
Vivere per dieci giorni in questo modo è ormai una prerogativa di pochi, purtroppo, e quindi noi pochi eletti abbiamo quasi il dovere di apprezzare le opportunità che ci vengono date.
In realtà, qualcuno non sarebbe capace di ritenere bello vivere per dieci giorni in un bosco, dormendo in una tenda, cucinando con il fuoco e non potendo usare acqua corrente, televisori e tecnologia, ma io, pur potendo sembrare strana la cosa per chi mi conosce, ormai a volte sento il bisogno di staccare dalla “civiltà” e di ritornarci qualche giorno dopo. Inizialmente, uno potrebbe infatti pensare “che bello, tra poco riabbraccerò il mio amato cellulare e dormirò di nuovo nel mio comodo letto”, la verità è che, quando sei là, non ti importa se hai dormito con un sasso tra la prima e la seconda vertebra lombare oppure un uccellino ti ha svegliato alle cinque di mattina, perché questo fa parte di un qualcosa di molto più grande che riserva anche delle soddisfazioni grandissime.
Non c’è niente di più bello, infatti, a mio parere, che poter essere autosufficienti, insieme alla propria squadriglia, ovvio, per più di una settimana, potendo fare da mangiare da soli, tenendo puliti e ordinati i nostri spazi quanto serve per avere il punteggio più alto, ridendo di ogni urlo che proviene dalla tenda ogni volta che un filo d’erba somiglia in modo inquietante a una cavalletta (animale pericolossisimo, dopotutto).
Quest’anno per me sarà più dura, immagino, perché, essendo all’ultimo anno di Reparto, mi dispiacerà tantissimo vedere il tempo scorrere verso la fine di questo campo, che, magari, sarà comunque il più bello di tutti, dato che in Reparto ho trascorso quattro stupendi anni, circondata da persone meravigliose. Però, mi rendo anche conto, finalmente, di quante cose siano cambiate rispetto al primo campo che ho fatto.
Quando una guida, uno scout, del primo anno arriva al suo primo campo estivo è pieno di ansie, di aspettative e di curiosità. Non sa cosa gli aspetti, non conosce le abitudini di questa nuova “vacanza” che gli viene proposta. E, a volte, si sente spaesato, in un mondo al quale non appartiene, dove c’è da durare fatica, da versare del sudore, dove niente viene fatto dagli altri per te, a meno che tu non abbia un capo squadriglia particolarmente gentile, ma devi dare tantissimo per poter avere indietro altrettanto, che è anche quello di cui hai bisogno. Poi, mano mano che i giorni passano, tutto diventa più chiaro, i pezzi del puzzle prendono il loro posto e, a circa metà campo, anche allo scout più inesperto del Reparto sembrerà di essere nato facendo quella vita, cresciuto in questo modo, tanto gli risulterà naturale il tran-tran di fai la legna-accendi il fuoco-occhio, la tanica è vuota-apparecchia- invita i capi- pulisci che ci abbassano il punteggio, sennò!.
Alla fine del primo campo, tornare a casa è alienante, come esperienza, sembra di essere strappati dal proprio pianeta e impiantati in un altro, improvvisamente più civilizzato e stranamente familiare, come se avessimo memorie nascoste in noi di come funziona quel genere di vita.
Già il secondo anno è diverso, tutto è più automatico, più naturale, quasi più monotono, ma.. in realtà di monotono non c’è proprio nulla, perché, per la prima volta, si impara a gestire anche quello che fanno gli altri. Non si è più i novizi, quelli che vengono comandati, si è squadriglieri, magari Terzi, ma non è il ruolo che conta, è la consapevolezza crescente di come la giornata si svolga e di cosa ci sia bisogno per farla funzionare al meglio.
Al terzo anno è ancora più difficile trovare un lato solamente divertente nel campo, perché si inizia a sentire di più la responsabilità all’interno della sq. e dell’organizzazione stessa, mentre vengono alla luce anche le cose più “spirituali”, ad esempio il senso di tutti quei discorsi scritti sui foglietti della parte di Liturgia di ogni giorno.
Adesso non so esattamente cosa aspettarmi, dai sentimenti che proverò durante questi dieci giorni, ma, praticamente alla vigilia della partenza, mi sento già elettrizzata e carichissima, ma soprattutto so che sarà un’esperienza indimenticabile, ricca di sensazioni più del solito, forse per la consapevolezza che sarà l’ultima che ho l’occasione di vivere.
E, finalmente, riesco anche a capire per quale motivo, gli anni precedenti, vedevo le persone dell’ultimo anno decise a godersi i campi più degli altri.
Voglio anche fare un invito a tutti quelli che parteciperanno a un campo, uno qualsiasi. Non passate il vostro tempo a pensare a cosa farete una volta tornati a casa, perché poi, a casa, penserete per forza a quello che avete fatto al campo, quindi, mentre ci siete, non pensate proprio, immergetevi del tutto nello spirito del campo, tuffatevi a capofitto nella natura e lasciate che ogni cosa rimanga impressa nel vostro cuore.