Del resto, quante facce ci si attaccano addosso tutti i giorni?
Le facce assonnate sull’autobus, il bidello che sta sulla porta, la prof di mate dietro i suoi occhiali appuntiti, il tipo che suona il clacson al semaforo come non ci fosse un domani, la cassiera dalla voce squillante “cinque e novanta grazie! Vuole il bollino?”, il mister con il suo sguardo imperscrutabile che ordina l’ennesimo giro di campo (ma poi, quando mi convoca?), la Titti coi suoi problemi di cuore (dai Titti, rilassati…), Sam che guaisce sulla porta perché vuole che lo porti a spasso, il tipo dell’enel che suona alla porta chiedendo chi si occupa delle bollette (lei sicuramente no, è la risposta standard di casa), Stefano che dice è giovedì si va a correre? ma non ci crede neanche lui, Lorenzo che mi guarda e chiede a bruciapelo “hai chiuso le slide?”, l’ingegnere che sfrecciando con la cartella sottobraccio sibila il suo solito “io l’avevo detto”, ancora la prof di matematica che depone gli occhiali a punta, si passa una mano sugli occhi e poi rimettendoseli si riprende e ti lancia la sfida: bene domani interrogo, nel frattempo mostri il biglietto al capotreno che non ti guarda nemmeno, ma ti rivolge un grazie distratto…
Quante facce ci si attaccano addosso tutti i giorni!
Ma poi scivolano via, dimenticate, nel via vai degli impegni quotidiani.
Ecco, a distanza di un anno, un album delle figurine non è stato solo un modo simpatico per ricordare un anniversario.
E’ servito a tenerci quelle facce attaccate, quegli occhi fissi su di noi, e i nostri sulle loro di facce.
A ricordarci. A ritrovarci. A fare un dispetto agli impicci di tutti i giorni che ci distraggono dall’essenziale. Invisibile agli occhi. Ti guardo le spalle fratellino. Tu guarda le mie. Take care. Stesso sangue tu ed io. Il colore del grano. Lo amerò dalle 15. Ci siamo addomesticati.