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Un pò di storia: Installazione della Croce sul Monte Tifata

L’idea di riedificare la vecchia croce che un tempo non lontano svettava sul monte Tifata, era nella mente degli Scouts di Capua da molti anni. Ma come sempre, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, anzi….la montagna. E cosi, tra mille idee, mille progetti e qualche tentativo fallito, l’idea rimane solo un sogno.  Tuttavia tra il 1984 ed il 1986, due avvenimenti hanno profondamente segnato lo scoutismo a Capua, che vanta una lunga tradizione di 40 anni: la creazione del nuovo gruppo Capua 2 e la Ruote Nazionale R/S 86.  Il nuovo gruppo sembra aver portato una ventata di entusiasmo e di vitalità: si avverte un risveglio generale di interesse per l’Associazione a Capua tanto che incominciano ad aggregarsi i “vecchi scouts” con il progetto di costituire il M.A.S.C.I. e addirittura si gettano le basi per un terzo gruppo a porta Roma.

In questo clima di fioritura primaverile si inserisce la Route Nazionale ai Piani di Pezza dell’agosto 1986, avvenimento di portata storica.  “Route” significa “strada”, cioè cammino, non solo spirituale, ma anche materiale, fatto con i piedi. E’ questa la caratteristica essenziale dello scoutismo: nulla si ferma ad una mera conoscenza intellettuale, ma ogni proposta coinvolge la persona nel suo insieme. La Route è rivolta ai Rover ed alle Scolte d’Italia cioè ai giovani dell’Associazione dai 16 ai 21 anni. L’incontro è di dimensioni e difficoltà eccezionali. Una vera sfida a tutti i teorici dell’ ambientalismo che vedono in questo avvenimento, un disastro ecologico per la meravigliosa zona tra le montagne abruzzesi, dimenticando la originale e concreta tradizione ambientale degli scouts, da sempre interessati alla natura non come squallido museo da guardare, ma come vitale spazio di. vita da rispettare e da amare.

Ma quella della route nazionale non è solo una vincente sfida ecologica, bensì sopratutto una sfida culturale: 11.000 giovani in un’epoca di disimpegno e di  indifferenza, si confrontano su temi come la politica, la Chiesa, l’economia, la fame nel mondo. Tutto questo in un clima di festa e di  lavoro coronato, alla fine, dalla presenza del Papa, entusiasta visitatore della cittadella scouts, acclamato come un campione di sport.  Insomma, tornare a casa con un”esperienza simile significa possedere una carica, eccezionale. E così i Rover e le Scolte del nostro gruppo non hanno esitato a prendere al volo quest’ impulso dando un calcio alle prime due lettere della parola ” im-possibile” che sembrava essere da troppo tempo caduta sulla realizzazione della grande croce sul Tifata. Ma come sempre accade quando si parte  con un po’ di coraggio e di Fede, le strade si aprono dinanzi inaspettate. Appena fuori Capua, sulla strada che va a S.Maria C. V. si trova un’ attrezzatissima officina metalmeccanica, la COS.METAL.  Per una serie provvidenziale di circostanze i soci della Ditta, cattolici sensibili, vengono a conoscenza de1l ‘impresa e si offrono per la costruzione della croce in più elementi bullonabili, secondo un nostro progetto. Trovare un fabbro che costruisca gratuitamente la croce e come dire che metà dell’impresa è già compiuta se si tiene conto che i primi tentativi fallirono proprio per la difficile lavorazione del ferro.

Iniziano così i primi contatti con il Signor Sannino della COS.METAL, fatti di considerazioni tecniche, ma anche di riflessioni spirituali sul valore dell’opera che anche a Lui appare come un segno della Provvidenza. Lo scambio, quindi, diventa  ricco soprattutto sul piano umano, che è quanto dì meglio potessimo sperare. Intanto proseguono ininterrotte le nostre spedizioni sul Tìfata. I problemi non finiscono mai. Bisogna disboscare, livellare, misurare, scavare… La prima fatica più grossa è portare le tavole per la cassaforma del grande basamento di cemento armato. La salita al Tifata è ripida, si tratta di un dislivello di 600 metri. In più, il punto di lavoro è stretto e ricco di insidie, trattandosi proprio del cocuzzolo della montagna. Tuttavia l’incanta del paesaggio il fascino delle scoperte archeologiche sempre possibili in una zona così antica, rendono la fatica più lieve. Di volta in volta, tornati a Capua, ci aspettano le visite e i solleciti alla COS.METAL, i contatti con altri possibili benefattori senza dei quali l’impresa rischia di rimanere incompiuta. Il problema più grosso è il noleggio dell’elicottero necessario per il trasporto dell’ingente quantitativo di calcestruzzo: circa 8.000 Kg. per ben ancorare una croce di 10 m. a traliccio a sezione triangolare di 60 cm. di lato e pesante circa 600 Kg. continuamente esposta ai venti. Subito ci rendiamo conto che non è il caso di interpellare la Forestale, l’Aeronautica Militare, la Protezione Civile perché la trafila burocratica ci farebbe perdere tempo prezioso mentre noi ci siamo posti come meta la prossima Pasqua ’87. Così puntiamo alla raccolta di fondi, vagliando le numerose possibilità di noleggio. I prezzi sono iperbolici, ma “provvidenzialmente” entriamo in contatto con una ditta agli inizi della propria attività, generosamente disposta a venirci incontro. Con troppo entusiasmo si fissa la data dell’operazione a giovedì 9 aprile. Martedi 7 aprile: summit notturno nella sede di Clan per calcolare i tempi e di metodi di lavorazione per ultimare la verniciatura della croce. Dopo consulti, litigi, scommesse si giunge alla conclusione che per un buon risultato non bastano due giorni. Il “faccia tosta” di gruppo viene designato immediatamente per la richiesta del possibile rinvio al direttore della ditta di elicotteri. Con comprensione l’operazione viene rimandata a mercoledì 15 aprile: è il mercoledì Santo. Indimenticabili e rocamboleschi diventano i giorni che precedono l’avvenimento: un altro rinvio stavolta sarà impossibile. Storica è la salita al monte con il baldacchino “tipo processione” sul quale è adagiato il primo pezzo, circa 100 Kg. che deve essere collocato nella cassaforma. Da questo delicato posizionamento dipende l’equilibrio della croce ed il suo orientamento. Naturalmente noi vogliamo che essa volga la faccia verso Capua e più precisamente verso la cattedrale di cui dalla cima è visibile il bel campanile. Intanto in officina si verniciano i pezzi: sono giorni preziosi per lo stretto contatto con un mondo del lavoro per certi aspetti a noi sconosciuto. La COS.METAL lavora a delle costruzioni eccezionali: cassaforme per pilastri, capannoni etc. E’ un’esperienza utile a dei giovani che devono orientarsi alla scelta della professione e che imparano a cogliere nel lavoro l’aspetto della competenza e della passione al di là del puro guadagno.  Per mercoledi 15 ancora rimane da reperire il cemento che ci è stato promesso dal Sig. Antonio De Pasquale, proprietario della C.E.I., che proprio alle pendici del Tifata lavora alla costruzione di un grande acquedotto da Cassino a Napoli.  Secondo gli accordi il cemento deve essere di tipo speciale, a presa rapida ,per consentire in un sol giorno, riempimento della cassaforma, essiccazione e posa della croce. Mercoledi 15, ore 7.00: grande attesa dell’elicottero. Una spedizione è partita di buon ora  per raggiungere la vetta, un altro gruppo rimane al campo base, situato sul versante di S. Prisco, dove ordinariamente avvengono le esercitazioni di tiro al bersaglio dei militari. Ore 9.00: arriva in macchina un tecnico della società per preparare l’arrivo dell’elicottero previsto per le 10. Sono presenti numerosi simpatizzanti che ci hanno seguito degli inizi. Primo fra tutti l’arch. Antonio Palladino che con la sua competenza artistica e la sua carica umana è stato un po il regista nascosto di tutta la vicenda; il simpatico e gentilissimo Sig. Prisco Russo, proprietario di un’impresa di costruzione che ci ha donato le tavole per la cassaforma e numerosi altri servigi d’emergenza; il Sig. De Pasquale entusiasta e attivissimo; è presente anche una rappresentanza della Protezione Civile di Capua e numerosi curiosi. Infine ci seguono con fedeltà e bravura le telecamere del Prof. Bruno Casale che preparerà un servizio su tutta l’impresa. Tutto è pronto, dunque, ma l’elicottero non arriva.  I contatti radio-vetta-base diventano incandescenti; l’attesa ansiosa si protrae fino alle ore 13. Alle ore 13.30 finalmente l’elicottero appare all’orizzonte come una divina visione e mentre si levano grida di gioia e di sollievo si scopre con meraviglia che il cemento approntato non è quello a presa rapida perché a nostra insaputa i tecnici della C.E.I. non lo hanno ritenuto adatto alla circostanza. Questo non solo significa che la fase più bella dell’installazione della croce non può avvenire in giornata, ma soprattutto che non si sa, se e quando, potrà ritornare l’elicottero. Si procede comunque, al riempimento della cassaforma: siamo tutti impegnati a lavorare, ma contemporaneamente ammiriamo estasiati le magnifiche evoluzioni dell’elicottero che a tratti sembra sfiorarci di un palmo. In poco più di un’ora il lavoro è terminato anche se ci rimane l’amarezza di dover rimandare a chissà quando la fase finale.  Ma “…il Signore odia la pace di chi ha destinato alla guerra”, amava ripetere spesso don Umberto D’Aquino, il bravissimo assistente spirituale che ha seguito gli scouts per oltre vent’anni. La sua scomparsa nell’agosto del 1982 è stata una perdita gravissima, anche se chi ha ben seminato non lascia dietro di se solo il vuoto e l’amarezza. Don Umberto ci ha infatti lasciato una testimonianza di Fede ed una eredità di pensieri, racconti ed esperienze che rimarranno a lungo nutrimento e sostegno di noi tutti. A Lui infatti è dedicato il nostro gruppo scout Capua 2, sorto a due anni dalla sua scomparsa e a Lui abbiamo voluto riservare il pensiero scolpito sulla lapide ai piedi della croce gentilmente donata dalla artistica lavorazione di marmi di Tullio Gaglione di Capua:  “SI GESU’ CRISTO E’ VERAMENTE RISORTO MA RISORTO LO ADORO, APPASSIONATO LO AMO”. Il pensiero, è tratto da una meditazione citata nel libro: “Don Umberto: un prete così” di don Giuseppe Centore che oggi è tornato, come un tempo, a sostenere gli scout con la sua preziosa ed originale guida spirituale. Mercoledì Santo, doveva essere quindi, la storica giornata finale e invece ora ci rimane solo una lapide datata “Pasqua ’87” che suona quasi una beffa ed una sfida.  Ma l’amarezza e l’illusione che ancora ci aspettano, sfiorano lo scoraggiamento e l’abbandono.  Sembrava infatti una sorpresa e un dono meraviglioso della Provvidenza quando per una eccezionale combinazione, saltato ormai l’appuntamento pasquale, la ditta di elicotteri generosamente fissa la data del ritorno gratuito al 21 maggio.

 Ma è proprio il compleanno di don Umberto, giornata in cui siamo soliti stringerci privatamente intorno all’altare per ricordarlo e pregare. Nessuno di noi aveva pensato a quella data che invece si presenta ora come la più indicata e suggestiva. Si muovono da Capua per salire in cima persino don Peppino Centore che si rivela abile scalatore, don Franco Ruotolo, a cui poi si aggiungono Don Pasquale Scarola e Antonio Palladino trasportati in elicottero con l’occorrente per la S.Messa. Con la giornata che sembra ideale, il programma è entusiasmante: alle ore 10 la croce sarebbe arrivata in cima legata all’elicottero in volo spettacolare,in pochi minuti sarebbe stata adagiata nei perni del basamento e a conclusione si sarebbe celebrata una suggestiva Messa sul posto cantando e ringraziando il Signore.  Ma, al solito, l’elicottero si fa attendere fino alle ore 12 e quando finalmente appare all’orizzonte, per un fatale sortilegio, si verifica un improvviso rovescio di tempo e cadono le prime goccie d’acqua insieme a forti folate di vento. Sullo sfondo di un cielo cupo e minaccioso la croce fa il suo storico volo dal campo base, ma impacciati nei nostri ponchi, molestati del vento insidioso e stanchi di una giornata di attesa, non riusciamo a collocarla nei perni nonostante la pazienza e l’abilità del pilota che la tiene sospesa sulle nostre teste con maestrìa impensabile.

 Due tentativi bastano per accorgersi che insistere diventerebbe oltremodo rischioso con il vento che non accenna a diminuire.  E così la croce viene posata accanto al basamento in un gesto che sembra di abbandono e di disfatta.  Abbiamo tutti il cuore in gola mentre la pioggia sferzante accompagna crudele la nostra muta ritirata dal monte.   Inizia così il periodo dell’inquietudine e del dubbio: nella coscienza di ognuno si cercano i motivi di questa apparente ostilità del destino. Ma c’è sempre nella storia di un’impresa il momento dello sconforto, la paura di aver preso la strada sbagliata o di aver osato troppo e, quindi, la tentazione di tornare indietro.  Così una sensazione, forse ingenua e un po audace, si fa strada nei nostri cuori: quel misterioso monte, anticamente consacrato agli Dei pagani, Giove e Diana Tifatina, forse pullula ancora di demoniache presenze che osteggiano il trionfo di Cristo Salvatore? Certo, fu proprio per causa dell’invidia e ostilità dei sacerdoti del famoso e ricchissimo tempio di Diana, situato alle pendici del Tifata, che S.Prisco, primo Vescovo di Capua, fu martirizzato. Certo, è un mistero come la vecchia croce di ferro sia caduta ed ora si trovi a notevole distanza del basamento.  Possono sembrare troppo superstiziosi e gratuiti sospetti, ma trascurare o negare a priori la presenza di un “antiprovvidenza” attiva e intelligente, è certo una tendenza dei tempi attuali di cui il maligno sembra servirsi egregiamente e contro la quale proprio in questi ultimi mesi è tornato a parlare il Papa stesso. Ma ora bisogna mettere i ” piedi per terra”, in senso metaforico e materiale, visto che l’elicottero certamente non sarà più reperibile.  Ora bisogna smontare e rimontare pezzo pezzo, la croce sul posto.  

Ma come? ogni pezzo pesa 70 Kg. ed è alto due metri. Come si farà ad operare via via a sei, otto e dieci metri da terra in un posto così stretto e insidioso?  Castelletti prefabbricati, gru, macchine ingegnose affollano i nostri discorsi e i nostri sogni, mentre i giorni passano velocemente. La soluzione di portare un certo numero di tubi innocenti senza un preciso progetto è la più semplice e per questo viene scelta, alla fine, senza esitazione.  Si tratta di tentare, senza pretese, con un piccolo paranco fidando molto sulle capacità di inventiva e di arrampicamento di alcuni di noi in particolare. Ormai è giugno inoltrato e il sole non è più il dolce amico delle passeggiate primaverili. I tubi pesano e scottano sempre più man mano che si sale stremati dai morsi delle mosche giganti, dai litri di sudore e di acqua che segnano la marcia, ma soprattutto da quel senso di radicata sfiducia che ormai ci accompagna sempre.  E’ venerdì 26 giugno e noi dovremmo essere a Capua per presenziare alla processione del Cuore di Gesù istituita da don Umberto nel 1950 quando fu eretto il monumento sulla Riviera nell’atto di consacrazione della città.  Anche questo forse, non è un caso; più di una volta abbiamo riflettuto, in comunità, sulla profonda sintonia fra la statua del Cuore di Gesù che dal fiume benedice Capua, e la nostra croce, che dal Tifata, diventa anch’essa simbolo per una rinnovata consacrazione a Cristo della nostra terra.  Comunque il pesante carico di sfiducia non ci lascia intravedere, all’inizio della giornata, questi ricami che la Provvidenza tesse sul nostro cammino: sarà anche stavolta una faticata inutile, pensiamo, e alla fine dovremo abdicare di fronte alla nostra imperizia e alla nostra sfortuna. Partiamo, così, senza entusiasmo e, a maggior ragione, senza la consueta “fanfara” di curiosi, ospiti eccezionali, telecamere, radio e macchine fotografiche.  Una carrucola promessa e mai arrivata, un piccolo screzio di competenze, qualche assente di troppo, coronano questa partenza decisamente poco promettente.  Mentre la dura salita ti costringe a lunghe soste, a forzate offerte d’aiuto, al vigliacco abbandono dei carichi eccessivi, riflettiamo a quanto dovette essere triste e dolorosa quella VIA DELLA CROCE che il Signore percorse in solitario e divino tormento.  Il nostro andare pieno di sfiducia con la certezza di un insuccesso ci fa assaporare un po il dolore più grande che dovette spezzare quel Cuore Divino durante la Passione: l’intravedere, con gli occhi di Dio, per quante volte nella storia e per quante persone quel sacrificio immenso sarebbe rimasto inutile e senza senso.  Forse prima del 26 giugno, le nostre spedizioni erano state troppo cariche di certezza e di trionfi perché potessimo meritare la meta finale.  Ora sì, il nostro andare è quello del pellegrino stanco ed umiliato che si getta disperato nelle mani del suo Signore.  

Arriviamo in cima alle ore 12 circa e abbiamo già esaurito le scorte d’acqua senza avere ancora iniziato.  Subito all’opera; e via via le idee e i pochi mezzi sembrano moltiplicarsi rapidamente: tutto ci appare più semplice e immediato del previsto; si montano le precarie ma efficaci strutture di sollevamento e alle ore 16 abbiamo già montato ottimamente due elementi dei sei.  Siamo a 6 metri da terra, ma Mario, Matteo ed Antonio lavorano con naturalezza stretti al traliccio da ormai quattro ore.  Siamo digiuni, ma non abbiamo voglia di mangiare e avremmo continuato ancora così se una pausa di riflessione non ci fosse stata imposta dall’improvviso e temibile piegamento della struttura di tubi nel tentativo imprudente di sollevare tutto il braccio centrale di 6 metri. Dopo aver raccolto le idee e qualche briciola di pane, il lavoro riprende veloce, interrotto solo dal l’involontaria caduta di un tubo e di un giunto metallico che provvidamente colpiscono solo di striscio Michele mozzando a tutti il fiato per qualche minuto.  Ripreso coraggio e consolato Michele ci accorgiamo che sono già le ore 18 e mancano ancora tre elementi da installare e soprattutto l’acqua.  Savino ed Antonio si offrono “eroicamente” di scendere e risalire con le borracce piene, mentre sempre più vertiginose si fanno le operazioni di montaggio.  Alle ore 21 il sole è ormai tramontato da un pezzo e gli ultimi bagliori accompagnano a stento la mano che serra l’ ultimo bullone della Croce. E’ sera ormai, ma nella nostra mente non c’è spazio per pensare che a casa possano essere preoccupati e che il sentiero di ritorno sarà difficile e oscuro. Ma per noi adesso è Pasqua, la nostra Pasqua ’87. E quando Matteo,per ultimo mette il piede a terra scendendo dalla croce siamo pervasi da un’indicibile emozione; l’augurio più spontaneo è perciò quello di “BUONA PASQUA”, non solo perché si è rotto ora finalmente l’incantesimo che ci doveva tenere il fiato sospeso dalla scorsa settimana Santa, ma perché è sempre Pasqua quando nei nostri cuori risorge la speranza e la fiducia di andare avanti senza cedimenti.  Rimaniamo ancora muti a rimirare da ogni lato la croce, imponente e maestosa, mentre domina la piana dove le luci della sera fanno apparire le nostre città dei piccoli e incantati presepi che l’immaginazione popola di sola gente buona e operosa che si appresta a chiudere gli occhi su una giornata di onesto lavoro.  Ahimè la realtà è un po diversa, ma forse anche una croce solitaria su di un lontano cocuzzolo può ispirare in qualcuno sentimenti di conversione e di speranza.  Tutto ciò può durare solo un attimo, perché occorre rapidamente tornare a valle, badando bene dove mettere i piedi. Arrivati nei pressi della Basilica un piccolo gruppo di genitori, capi ed amici ci attende. Fino ad allora era prevalsa la preoccupazione, ora domina l’allegria al grido scherzoso del Capo Clan: “ABEMUS CRUCEM” che suona come un annuncio di liberazione.  Un brindisi chiude in sede la storica giornata mentre rimane l’ansia di attendere il giorno dopo per andare a scoprire lo spettacolo all’orizzonte.Al risveglio è troppo grande ancora il dolore nei muscoli e la gioia del lavoro compiuto, per rimanere delusi del fatto che da Capua la croce appare solo un piccolo punto appena visibile.  Ma questo non conta. L’importante è che essa oggi sia li e che un sogno si sia realizzato con le nostre mani.  Un sogno antico, forse, quanto il cristianesimo stesso se è vero (come c’è sempre qualcosa di vero in fondo ad ogni leggenda) che un giorno S. Pietro in persona, salutando S. Prisco sul ponte Romano, nell’ atto di proseguire verso Roma, puntò il dito verso il Tifata, allora consacrato ai culti pagani, profetizzando che quel colle sarebbe passato sotto il dominio e la protezione di Cristo. Concediamoci, allora, come premio finale, l’ingenua illusione che San Pietro, nel suo sguardo santo, perduto all’orizzonte del tempo, vedesse, in quel momento, anche noi, 2000 anni dopo, arrabbattarci indegnamente sul sacro traliccio per dare, ancora oggi, una modesta, ma sincera testimonianza di Fede in tempi, forse, più pagani ed oscuri dei Suoi. 

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