Condividiamo in queste pagine alcuni frammenti di vita scout, storie di persone e amicizie create durante questi anni.
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LA LEGGE SCOUT NON VA SEGUITA
Molti di voi credono che per essere uno scout esemplare servano sudore, uno sguardo capace di guardare oltre gli ostacoli, la forza per sopravvivere piegandosi alle avversità della natura. Ma è solo attraverso la legge scout che le vostre scelte e azioni quotidiane avranno solide radici. Con la legge scout potete essere uomini e donne d’onore.
Nei miei anni di esperienza, mi sono chiesta se la legge fosse sempre applicabile. Se potesse avere nuovi punti.
Ricordo che quel weekend in Hike queste domande vennero fuori tutte insieme.
Tutto iniziò con Chiara, la mia compagna d’avventura, che durante la salita diventò paonazza e prese a stramazzare versi confusi. Io la soccorsi credendo che avesse un istrice incastrato in gola, ma in realtà stava cantando l’ultima canzone di Niccolò Fabi. La pregai di smetterla.
“La guida e lo scout cantano nelle difficoltà” mi disse, ma il respiro le fischiò e si mise a tossire come un turco asmatico. Intanto la lingua mi arrivava quasi alle caviglie e mi chiesi quanti polmoni avesse Baden Powell per riuscire a cantare in certe condizioni. Guardando l’infinita salita davanti a noi, presi fiato e dissi:
“Fermiamo un guidatore. Essere amici di tutti e fratelli di chi guida e scout fa parte della nostra legge”.
Non finii la frase, che Chiara aveva già il pollice rivolto verso la cima della salita. Eravamo in sintonia su molte cose, anche se molto diverse. Lei alta, bionda, gli occhi da cerbiatta innamorata, sapeva sciogliere qualsiasi cosa con un sorriso. Io invece, con la mia perenne aria da bambina malnutrita, puntavo sull’effetto compassione. Funzionò, perchè una Mini verde abete inchiodò davanti a noi e dal finestrino spuntò il ciuffo brillantato di un baldo giovane. Salimmo senza pensarci e l’auto ingranò la prima, iniziando a trasportarci su per la salita.
“Dobbiamo arrivare in cima alla montagna” spiegò Chiara “C’è un eremita lassù che ci aspetta” e mostrò uno dei suoi sorrisi. Il volante si sciolse e dovette subito richiudere la bocca.
Trascorrere la notte dall’eremita era l’obiettivo che ci avevano dato i capi. Io alla parola “eremita” non sapevo bene quale immagine associare. Un saggio anziano che mi avrebbe rivelato la verità sulla vita? O l’uomo con un gilé di pelo che mi avrebbe rapita nel sonno per cuocermi in una pentola e trasformarmi in ragù?
Cacciai quei pensieri, Chiara era già sintonizzata con il nostro soccorritore. Si chiamava Gianni e sembrava orgoglioso di avere due donzelle con le gambe nude nella sua auto nuova di zecca. Iniziò a raccontarci di sé, della montagna di soldi che guadagnava, della passione per le discoteche e le moto laccate, della magnifica idea di lasciare la ragazza perchè era incinta. Molto nobile da parte sua, desideravo istigare la sua ragazza a prenderlo a calci tra le gambe. Sono puri di pensieri e parole. Mi morsi la lingua e ricordai a me stessa che Gianni era la nostra ancora di salvezza. Mentre Chiara era arrivata a chiedergli i nomi delle sue prozie per trovare argomenti interessanti, la situazione si stava complicando. Il sole era ormai tramontato, la strada era sempre più sterrata, bucata e zigzagata, io mi tenevo salda al sedile per non vomitare le mosche che avevo ingoiato durante la salita col finestrino aperto.
“Tranquille ragazze” disse Gianni passandosi una mano tra i capelli “Vi porto su comunque”.
Fu così che la Mini si bloccò con le ruote nella melma e con le due fiancate incastrate tra due rami di quercia.
Scendemmo per recuperare gli zaini dal bagagliaio, realizzando con orrore che l’auto era per metà rigata e puntellata dai sassi volati durante la salita. Gianni, che stava per scendere e aiutarci, fu bloccato da Chiara che con sguardo languido lo riempì di ringraziamenti dal finestrino.
“Puoi dare un’occhiata se la macchina è rovinata?” mi chiese Gianni dal finestrino. Pongono il loro onore nel meritare fiducia. Lo raggiunsi col sorriso più naturale che avevo “No, tranquillo, ho controllato sia a destra che sinistra. Non c’è nulla.” e gli mostrai i trentadue denti con delle zanzare in mezzo.
Con le dita incrociate, passai lo zaino a Chiara e partimmo di corsa, mentre la Mini procedeva in retro per tornare verso la strada asfaltata.
“Credi che questa mia bugia mi toglierà dei punti dalla patente scout?” le chiesi coi rimorsi che mi assalivano.
Chiara fece spallucce “Al massimo andrai all’inferno”.
Questa cosa mi fece sentire meglio ma pregai di non incontrare mai più Gianni in questa vita. Ero sicura che mi avrebbe fatto ridipingere l’auto col sangue. In quell’istante il cielo s’illuminò, stette in silenzio qualche secondo e poi ruttò un tuono orribile. Ci ritrovammo sotto una pioggia violenta, mandata dal cielo per lavarci dai nostri peccati. Mentre ci arrotolavamo come due sushi nei nostri k-way, giurai di aver visto due occhi gialli che mi fissavano tra gli alberi. Urlai terrorizzata e Chiara, che aveva ancora la testa infilata nel k-way, fece lo stesso. La afferrai per quello che doveva essere il naso e iniziammo a correre in discesa. Lei, ancora con la testa nel k-way, si muoveva come un polipo cieco .
“Che cos’era?” gridò
“Gli occhi dell’eremita!”gridai ancora più forte “Voleva rapirci e trasformarci in ragù!”
“Infatti quassù non c’è la Conad..” notò Chiara. E guardò il bosco, con quello spirito d’osservazione che solo gli scouts sanno avere. Eravamo di nuovo al punto di partenza, col fiatone. Sotto la pioggia.
Restava da capire dove poter trascorrere la notte. Girando più volte la cartina, l’unico nome che ci sembrò familiare fu “Montebello”, da tutt’altra parte rispetto alla nostra posizione. Chiara si illuminò nello stesso momento il cui la sua pila in fronte si spense. “Ma certo! Pacini!”.
Miei cari esploratori e guide, so che voi amate gli spaghetti al sugo di terra e il risotto all’amanita falloide che spacciate per porcini freschi. Ma chi tra voi ama piatti meno raffinati, forse conosce Pacini, il miglior ristorante di Montebello. Il figlio del proprietario era un ragazzo che veniva nel nostro stesso liceo, avremmo suonato alla sua porta come due disperate e ci avrebbero accolte con un piatto caldo. Il piatto forte di Pacini è il coniglio in porchetta, galleggia nell’olio come una boa in mezzo al mare. Il pensiero di quel coniglio ci fece forza, finchè non mi venne un altro dubbio di coscienza.
“Chiara” le dissi camminando “Credi che sia giusto che l’unica cosa che ci motivi a camminare sia un coniglio servito in un piatto? Gli scouts amano e rispettano la natura, lo dice la legge”.
“Lo so”- rispose lei -“Ma noi il coniglio glielo chiederemo per favore. La guida e lo scout sono cortesi, questo ci fa onore”.
Aveva senso. Così, insacchettate nei nostri k-way, iniziammo il lungo cammino verso Montebello. Scivolavamo nella melma e avevamo le gambe marroni come la cioccolata sui profitterol di Pacini. Correvamo in discesa come cervi, tipo quelli che sono sulla polenta di Pacini. La pioggia veniva giù forte, come il sangiovese e la cagnina che Pacini ci avrebbe versato nei bicchieri. Dopo tre ore di sogni enogastronomici, arrivammo a Montebello con la luna sulla testa. Il figlio di Pacini ci guardò sconvolto, eravamo bagnate e sporche come due bruscette imbevute di zuppa ai ceci. Con garbo ci allontanò dalla vista dei clienti e ci sistemò in uno stanzone a fianco, dove avremmo potuto stendere i sacchi a pelo .
Era sabato sera e Pacio (così lo chiamavamo), sarebbe andato a ballare in discoteca coi suoi amici. Io guardai le mie gambe fradice, i capelli di Chiara che erano diventati castani di fango e mi chiesi cos’è che mi facesse essere scout invece che una normale adolescente che bere birra in mezzo ad una pista. Lo capii mentre Chiara mi chiese di aiutarla a scollarle dai piedi i calzettoni fradici. Si rendono utili e aiutano gli altri, dovevo provarci. Accettai di malavoglia; io tiravo il suo calzettone verso di me e lei si teneva la gamba cercando di staccarsi da quella morsa mortale di cotone bagnato misto a fango. Vincemmo, ma mi ritrovai a terra con il suo calzettone sulla fronte. Fradice, scalze, congelate, con lo stomaco che ruggiva e un calzettone sulla fronte, ridevamo sguaiate a terra. Ecco perchè non ero in discoteca in quel momento.
Cenando con scatolette di fagioli e tonno, ci mettemmo a fantasticare su Azzurrina, la bambina dai capelli azzurri scomparsa tre secoli prima che si fa ancora sentire tra i cunicoli del castello. Promettendoci di andare a visitare il castello il giorno seguente, ci infilammo nel sacco a pelo e crollammo di sonno.
Stavo sognando eremiti in porchetta e Mini assassine quando mi svegliai di soprassalto. Al piano di sopra stava succedendo qualcosa di terribile, si sentivano tavoli strisciare, finestre sbattere, ululati sovrumani, passi pesanti, salti, grida.
“Chiara cos’è??” urlai. Anche lei si era svegliata e urlava forte e rideva. E io ridevo e urlavo e ci apallottolammo nel sacco a pelo, mute. Terrorizzate. I rumori si fermarono.
“Pss Chiara. E se fosse Azzurrina?” Urlammo entrambe e i rumori ricominciarono, volevamo scappare ma eravamo paralizzate dalla paura, bloccate dal diluvio, in cima a Montebello, di notte. Quella bambina fantasma ci avrebbe uccise, sarebbe stato meglio affrontare l’eremita. Quello almeno aveva un corpo! Attendevo la mia fine con orrore, uccisa da una bambina con una tinta di capelli orribile. I rumori cessarono all’improvviso e rimanemmo con gli occhi spalancati a fissare il soffitto, finchè qualcuno non entrò dalla porta facendo entrare il primo sole. Era Pacio, appena tornato dalla discoteca, che ci veniva a salutare. Quando gli raccontammo il panico della notte, ci pensò su e infine rise. Un suo amico aveva saputo che eravamo lì ed era tornato prima dalla discoteca per terrorizzarci. E noi, come due coniglie, ci eravamo cascate.
Sono amici di tutti, diceva la legge. Io a quel bastardo gli avrei infilato uno scarpone in bocca.
Facemmo gli zaini, ma non avevamo le forze per andare a salutare Azzurrina nel suo castello. In fondo ci aveva tenute sveglie tutta la notte, volevamo solo trascinarci a casa e dormire due giorni di fila. In fondo alla strada trovammo un forno che profumava di pane caldo e brioches appena sfornate. Farcimmo le tasche interne dello zaino con cornetti alla crema, infilammo manciate di cioccolatino nei calzettoni, un panino nel reggiseno e ringraziammo il fornaio coi baffi di zucchero a velo. Quello ci benedisse, aveva ricevuto uno stipendio mensile in una sola mattinata. Sono laboriosi ed economi sì, ma anche la generosità è un valore importante. Io la legge scout l’avrei cambiata tutta.
Tranne una cosa forse: il fatto che in ogni suo punto parli alla guida e allo scout insieme, perchè “insieme” è la parola più bella che ha accompagnato ogni mia avventura. E la legge nasconde questa verità tra le righe.
Pensai alla mia avventura con Chiara: non avevamo raggiunto l’eremita ma eravamo sopravvissute al suo piano di trasformarci in ragù, avevamo camminato per ore sotto la pioggia per vedere un coniglio, ci eravamo adattate a dormire nello scantinato di un ristorante ed eravamo sopravvissute nientemeno che ad Azzurrina.
“Sono flessibili potrebbe essere un altro punto della legge” dissi a Chiara.
Ma lei non mi sentì, stava cercando di fare pipì a ridosso di un fosso sulla strada, con i piedi su due sponde opposte.
G.M.

Questa foto è soddisfazione pura. Lo era e lo è tutt’ oggi! Una palafitta, la nostra tenda sospesa dal suolo. Quando sei scout e parti per un Campo hai sulle spalle il classico zaino tecnico da campeggio. Uno zaino che, nel mio caso, ricordo bene, era dotato addirittura di un’ arcaico sostegno metallico all’ ultimo grido, il quale piacevolmente si poggiava sulle mie scapole anestetizzando la schiena che poteva rimanere contratta per giorni, ricordandomi quanto fosse importante dosare il suo contenuto. Diciamo che impostando una banale proporzione l’ aggiunta di un oggetto al suddetto zaino era direttamente proporzionale al dolore e alla fatica necessari per portarselo fino al luogo prestabilito per la permanenza. Ecco che allora imparavamo già prima di partire una preziosa lezione, ovvero la definizione delle priorità, la riduzione del nostro bagaglio all’ essenziale, allo stretto indispensabile.
Ma perché vi parlo dello zaino ora? Vi parlo dello zaino perché io personalmente sento ancora forte e chiaro quel sostegno non propriamente ergonomico premere sulla mia schiena. Sì! Perché l’ essere scout ti tempra e ti regala, che tu lo voglia o meno un bagaglio bello pesante di esperienze e di ricordi. Ad un certo punto cominci ad apprezzare quel peso che ormai hai imparato a trasportare agilmente anzi, all’ occorrenza posi a terra e svuoti alla ricerca di nozioni che tornano utili quando meno te lo aspetti.
Ma torniamo alla palafitta, se io oggi provassi a montare, non dico una palafitta, ma per esempio una libreria IKEA. Ecco che già potrebbe emergere buona parte della mia fragilità emotiva. Diciamo che al terzo tentativo abortito potrei cominciare a rimpiangere la scelta di improvvisarmi falegname riflettendo sul senso della vita.
Ho parlato usando il condizionale.
Questo per mia grande fortuna non succede, o meglio, nonostante abbia serie carenze nell’ assemblare componenti d’ arredamento non succede che mi fermi di fronte alle difficoltà. La spiegazione che mi sono dato al perché questo non succeda è che ogni qualvolta mi trovi nei guai dal punto di vista della realizzazione di un progetto ripenso al fatto che un gruppo di ragazzini tra i 13 e i 15 anni, tra i quali ero orgogliosamente presente, è riuscito in poco più di mezza giornata ad erigere una palafitta che ha resistito al loro peso, al peso di una tenda e al peso di tutti gli zaini per 10-12 giorni. E si sa che a quell’ età si salta ci si muove di continuo, non si rimane certo imbalsamati nei sacchi a pelo pregando che i cordini tra le travi del piano non cedano durante la notte.
Per fortuna al tempo questa preoccupazione non si presentò mai. E infatti ricordo come durante la notte, nonostante il coprifuoco si riuscisse sempre a fare qualche scherzo o gioco, tutto sommato innocente, che si traduceva sistematicamente in riduzioni del punteggio sul tabellone segnapunti la mattina seguente. Riduzioni che per la cronaca bruciavano, la competizione per la vittoria del Campo era notevole. Ma la trasgressione delle regole ha sempre quel fascino ribelle.
La palafitta è un ricordo che porto volentieri nel mio zaino e che spesso mi ha motivato a proseguire in tante cose. Porto nel mio zaino anche sconfitte, delusioni, paesaggi fantastici, incontri, amicizie, ecchimosi, ore di sonno perse, qualche osso rotto, cieli stellati, i boschi e le pentole incrostate di nero pulite a lucido con la parte ruvida della spugna, il fuoco e la musica della sera. Non sono molto ordinato, non lo sono mai stato, preferisco che i ricordi si mescolino, quelli positivi, quelli meno. Ma ripenso spesso al quanto mi renda felice aver avuto la possibilità di fare esperienza di un mondo che alla maggior parte dei giovani della mia età è sconosciuto e non potrei essere che contento di avere, anche grazie a queste piccole conquiste, il valore aggiunto di un equipaggiamento versatile sempre dietro, con bello e con cattivo tempo.