Impresa di Giornalismo – Sq. Scoiattoli 2019

Ciao, siamo la Squadriglia Scoiattoli del Lodi 1.

La nostra impresa si è svolta in due fasi:

  • In primo luogo abbiamo intervistato tre persone che hanno compiuto un viaggio per venire in Italia;
  • Successivamente abbiamo riportato l’intervista in un articolo;

Per trovare i profili adatti ci siamo rivolti alla Caritas Diocesana di Lodi.
Rivolgiamo un particolare ringraziamento a Magda e Giulia (Caritas) che ci hanno aiutato nella realizzazione della nostra impresa presentandoci Muossa, Giselle e Smuci.

Questo è l’articolo che abbiamo prodotto:

Moussa, il primo nostro intervistato, è un uomo di quarant’anni, proveniente dalla Costa D’avorio, il quale, dopo il cambio del Presidente avvenuto nel suo Stato, nel 2013, ha deciso di cambiare aria e di affrontare “il grande viaggio”.
Nel suo paese lavorava come boscaiolo per una falegnameria del posto. Nel 2014 inizia il suo viaggio con un amico e lascia la città natale di nome Man.
Moussa aveva un biglietto con una compagnia di autobus di linea, il suo partiva alle 4 del mattino, ma si sveglia tardi e perde l’autobus. Sconsolato si reca dalla compagnia degli autobus chiedendo un rimborso. Ma gli agenti gli propongono un’altra corsa con destinazione Gao, città del sud del Mali, per poi continuare il suo viaggio per la Libia. Lui accetta. Arrivato a Gao Moussa deve scegliere tra due tipi di viaggio: il prima è pagare tutto e subito, ed essere caricato in un camion fino in Libia. Questo tipo di viaggio, tuttavia, presenta dei rischi, perché i posti di blocco nel deserto sono frequenti e i trafficanti possono abbandonarli da un momento all’altro, essendo già stati pagati profumatamente.
Il secondo tipo di viaggio, invece, è più sicuro, ma molto frammentato e costoso. Consiste nel farsi trasportare da trafficanti di uomini su fuoristrada, per brevi tratti e pagare ogni volta il trafficante di turno. Questa scelta è più sicura perché nessuno ha l’interesse di abbandonarti e i blocchi si evitano più facilmente.
Questa grande rete di traffici umani avvantaggia tutti gli abitanti del posto: ad esempio se hai una jeep puoi trasportare i migranti anche per un piccolo tratto nel deserto e guadagnare molti soldi, oppure se hai l’acqua potabile in casa puoi vendere loro delle taniche d’acqua a prezzi vantaggiosi.
In questo modo ogni persona che possiede qualcosa entra a far parte della rete dei trafficanti e rappresenta un nodo che tiene insieme il tutto, il cui centro è situato in Libia.
Moussa, arrivato a Gao, sceglie la via frammentata ed incontra un arabo della tribù Tuareg, il quale gli dice che lo aiuterà ad attraversare il deserto e partono verso il deserto, loro due soli, su una quattro x quattro piena d’armi.
Ad un certo punto il Tuareg ferma il fuoristrada e lascia Moussa da solo nel bel mezzo del deserto algerino. Egli, con 6 bottiglie d’acqua, si avvia camminando verso la direzione che gli ha indicato il Tuareg.
Verso sera vede arrivare verso di lui, a grandissima velocità, due fuoristrada, anche questi carichi di armi. Le due macchine si fermano, scendono altri ribelli Tuareg che lo fanno salire a bordo e lo portano dal loro capo.
Il capo dei ribelli Tuareg, Amhed, controlla una parte del deserto e possiede la rete di coaxaire (trafficanti) neri fino in Libia.
Il capo verifica i documenti di Moussa, gli prende altri soldi, e lo obbliga a restare per ben 3 giorni nel villaggio di nome Timiaouine.
La prassi è questa: i ribelli tuareg controllano il confine tra il Mali e l’Algeria, ti fanno continuare il viaggio solo se dai loro soldi, tanti soldi, come fa Moussa, altrimenti ti tengono lì finché non saldi il conto.
Moussa per tre giorni rimane al villaggio, lavora per gli algerini e, con i pochi soldi rimasti, offre da mangiare a 200 persone che stavano morendo di fame.
Successivamente Moussa va a cercare un passaggio per Ghardhia, seconda capitale dell’Algeria.
A Ghardhia vi sono dei campi per migranti che consistono in palazzi sfitti, praticamente vuoti, tenuti da famiglie di maliani e guineani (in realtà i soldi li prendono degli arabi). Si pagano €10 per entrare nel campo e €10 al mese come affitto. Inizialmente Moussa, non voleva pagare tutti quei soldi, quindi gli africani, per convincerlo, gli fanno dormire una notte all’addiaccio, riuscendo così nei propri intenti.
Moussa conosce un uomo ivoriano dalla storia simile alla sua: anche lui voleva raggiungere l’Europa, ma aveva speso quasi tutti i soldi. Di conseguenza ha deciso di fermarsi e ha trovato lavoro in città come meccanico. L’ivoriano ha poi affittato una casa e adesso aiuta tutti i migranti: offre vitto, alloggio e presta soldi. Moussa rimane a casa sua per tre settimane, senza pagare niente.
L’amico poi gli indica un coaixaire guineano che gli chiede €500 per andare, Moussa contratta un po’ e accetta. Il coaxaire gli dice di prendere un taxi per andare a Ouarglà (Algeria) dove dovrà cercare un altro taxista amico che lo avrebbe portato fino a Deb-Deb. Qui si trova la frontiera tra Algeria e Libia, la quale non può essere attraversata senza la guida dei coaxaire, essendo una grande distesa di deserto.
A Deb-Deb si deve pagare ancora per arrivare fino in Libia, si danno in contanti €250 e si sceglie tra due strade: una più lunga che va a Tripoli, l’altra più corta che va a Sultan. I pericoli, i disagi, i lavori forzati che avverranno nel viaggio fanno parte del contratto e non ci si può ribellare.
I trafficanti affidano 15 migranti ad ogni Jeep e li portano fino al deserto. Lì arriva un libico che li fa dormire per terra su dei tappeti. Alle tre di mattina arriva un gruppo di libici e sudanesi, i quali portano i migranti in un campo nascosto tra le dune del deserto, attrezzato solo di una latrina. Moussa trascorre lì 2 giorni e viene obbligato alla costruzione di una casa senza essere retribuito.
Il giorno successivo Moussa deve affrontare una estenuante marcia nel deserto di circa 5 ore, lungo il cammino ci sono le cappane dei coaxaire che vendono taniche d’acqua a prezzi altissimi. I trafficanti in quel tratto di strada sono spietati: camminano velocemente e, se non ce la fai, ti abbandonano a morire nel deserto.
Molti compagni di Moussa cadono, ma lui non si può fermare ad aiutarli, perché in quel modo sarebbe destinato alla stessa sorte. Lui resiste grazie all’acqua che riesce ad acquistare e alla sua corporatura robusta.
Finita la marcia nel deserto arrivano altri fuoristrada a prendere i sopravvissuti e a portarli a Sultan (Libia) evitando i blocchi della polizia libica. A Sultan Moussa trascorre in tutto 2 settimane, vive insieme ad altri ragazzi e impara a cucinare.
Poi raggiunge una cittadina situata nei pressi del mare, Sabrata, dove vive per 2 mesi in un immobile sfitto, e raccoglie tutti i beni di prima necessità che gli vengono forniti dai libici. Durante questo periodo Moussa rimane chiuso in casa ad aspettare la chiamata dei coaxaire per imbarcarsi.
Un giorno Moussa viene chiamato, raggiunge la costa e, insieme all’ivoriano e altre persone, viene fatto salire su un barcone senza guidatore e fatto salpare.
Il gruppo di migranti, abbandonato in mezzo al mare ha ormai perso le speranze e le persone iniziano a disperarsi. Ad un certo punto vedono arrivare una grossa imbarcazione e, pensando che sia libica, già si rassegnano al dover tornare in Africa.
Moussa però nota una scritta strana sull’imbarcazione, infatti, quando quest’ultima si avvicina, legge la scritta “Napoli”, fortunatamente era una nave della guardia costiera napoletana.
I migranti euforici iniziano a sventolare stracci e a fare segnali, la nave si avvicina e li traghetta fino a Messina, dove il gruppo di profughi viene ospitato in un centro di accoglienza.
E’ il 24 maggio 2014 e Moussa segue da Messina la finale di Champions League tra Atletico e Real Madrid consapevole di aver finalmente raggiunto la salvezza.
Nei giorni successivi Moussa fa il suo ultimo viaggio in pullman fino al centro accoglienza di Milano ed infine a Lodi. Egli viene accolto da una ragazza della Caritas di nome Magda con cui vive per qualche tempo finché non trova lavoro. Tra le cose che Moussa inizia a fare in Italia c’è anche l’atletica: per tenersi in forma fa ogni giorno la ciclabile Massalengo-San Colombano, strada percorsa ogni giorno anche da un allenatore di atletica e sua moglie. Quest’ultimi vedendo Moussa tutti i giorni iniziano a salutarlo e a conoscerlo, fino a quando l’allenatore gli propone di andare alla pista di atletica di Lodi. Moussa vive in Italia da 5 anni ed abita a Massalengo, un paesino in provincia di Lodi.

Giselle, la seconda intervistata, è una donna camerunense emigrata in Europa.
Nel suo paese svolgeva un’attività di ricerca scientifica, era sottopagata perciò con gli altri lavoratori del suo laboratorio conduceva una campagna di protesta contro il governo dittatoriale del paese, rischiando anche la vita. A questi problemi lavorativi si aggiunsero quelli familiari dovuti alla morte del padre.
Il padre era un benestante proprietario terriero, ma quando morì iniziò una disputa tra fratelli per l’eredità, erano addirittura 50, (da 6 madri) e Giselle era la più piccola e doveva sopportare tutti quei disagi.
Con il Paese sull’orlo della guerra civile e con una situazione familiare drammatica Giselle decide di emigrare in Europa. Contatta subito una sua amica camerunense che viveva in Italia, e inizia la trafila burocratica che le permetterà di espatriare.
Dopo aver trascorso due anni alla ricerca di permessi e passaporti, Giselle ottiene il biglietto per l’Italia e in aero sbarca a Malpensa dove viene assegnata al centro accoglienza di Milano. Il centro milanese la smista a quello di Lodi dove viene accolta dalla Caritas lodigiana.
Giselle rimane talmente colpita dall’accoglienza dei volontari che decide di rimanere con loro e di lavorare per aiutare gli immigrati appena arrivati.
Ora Giselle serve alla mensa dei poveri e funge da mediatrice linguistica e culturale per le donne appena arrivate.
Durante l’intervista Giselle ci ha portato a visitare la mensa dei poveri dove lavora e ci ha parlato anche della storia del suo paese, il Camerun.
Il Camerun anticamente era una colonia tedesca, ma, con la caduta del Nazismo, è stato poi diviso tra Belgio e Francia. Circa il 70% del paese era in territorio belga, tuttavia la Francia non voleva privarsi della sua parte ed ha indetto un referendum per decidere sotto quale nazione sottostare; i camerunensi votarono quasi all’unanimità per il Belgio.
Un’altra particolarità del Camerun riguarda il suo aspetto fisico: questo paese viene chiamato per l’appunto “Africa in miniatura”, infatti presenta tutti gli ambienti fisici che caratterizzano il continente Nero: la costa e gli estuari dei fiumi a Est, le montagne al Nord, il deserto a Nord Est e le foreste tropicali nel Cento Sud.

Infine noi della Sq. Scoiattoli abbiamo intervistato Smuci, un bambino tunisino. Smuci è venuto in Italia con sua madre e suo fratello dopo aver attraversato il Mediterraneo.
Il bambino ci ha raccontato il giorno della sua partenza dall’Africa. Una volta accompagnati al porto li fecero salire su un barcone, ma, dopo due lunghi giorni di navigazione, il motore della barca si fermò lasciandoli in balìa delle onde per diverse ore, fino a quando non vennero soccorsi da una nave della Guardia Costiera Italiana. Questa li portò sani e salvi in Italia. Nel porto italiano li fecero scendere, soccorsero i malati, li registrarono e li mandarono nel centro di accoglienza più vicino. Poi presero un pullman in direzione del centro accoglienza di Milano. Da qui si trasferirono a Casalpusterlengo (in provincia di Lodi) dove Smuci e suo fratello iniziarono le elementari. Circa un anno dopo Smuci, sua madre e i suoi fratelli si trasferirono a Lodi dove vivono attualmente.